Per la prima volta nella Quinta Repubblica il ballottaggio per le presidenziali non vedrà la presenza né di un candidato socialista né di uno della destra moderata, visto che a contendersi l’Eliseo saranno Emmanuel Macron (En Marche!) e Marine Le Pen (Front National).
E salvo sorprese, proprio Macron il 7 maggio sarà eletto, e la Francia avrà così il più giovane presidente della sua storia, il quale arriverà alla massima carica dello Stato senza aver mai avuto un incarico elettivo a livello nazionale o locale e, soprattutto, senza contare su una formazione politica organizzata.
Lo scenario per il probabile prossimo presidente della Repubblica rischia tuttavia di complicarsi fin da subito. Un mese dopo il ballottaggio, la Francia sarà infatti chiamata nuovamente alle urne per le legislative (anch’esse secondo un sistema maggioritario a doppio turno). E stavolta, a differenza che in passato, quando il partito del candidato eletto all’Eliseo solitamente riportava la vittoria anche all’Assemblea nazionale, è quasi certo che nessuno dei due esponenti arrivati al ballottaggio potrà disporre di una propria maggioranza parlamentare autonoma.
IL BIVIO DELLE LEGISLATIVE DI GIUGNO
Nel caso improbabile che domenica si imponga la Le Pen, a giugno il Front National avrebbe la forza di conquistare solo una manciata di seggi, rimanendo quindi lontanissimo dal numero di 289 necessario per governare (lei ha intanto già aperto alle intese, siglando un patto di governo con il sovranista Nicolas Dupont-Aignan, ex neogollista che con la sua lista “Debout la France” al primo turno delle presidenziali aveva raccolto il 4,7%).
Anche qualora vincesse Macron le prospettive non sembrano più convincenti. Nato pochi mesi fa, “En Marche!”, il movimento fondato dall’ex ministro dell’Economia, non ha radicamento sul terreno e per le legislative potrà far leva solo sul fattore novità espresso da Macron. I suoi candidati rischiano però di essere percepiti come inesperti, non avendo dato nessuna prova delle loro capacità in campo politico, oppure, nel caso in cui dovesse schierare alcune vecchie figure provenienti dal Partito socialista o dalla destra neogollista, come troppo ancorati al passato e ben lontani dal rinnovamento che il neopresidente intenderebbe portare avanti.
UN’ASSEMBLEA NAZIONALE IN MANO AL CENTRODESTRA
È opinione diffusa che il risultato più probabile sia quello di un’Assemblea nazionale con una maggioranza di centrodestra che a quel punto esprimerebbe un proprio premier ed un proprio governo, imponendo all’Eliseo una nuova coabitazione fra presidente e primo ministro di orientamento politico diverso.
Una circostanza questa verificatasi già tre volte in passato durante la Repubblica: due volte sotto Mitterrand, quando il presidente socialista – prima nel biennio tra il 1986 ed il 1988 e poi tra il 1993 ed il 1995 – venne costretto alla coabitazione con esecutivi neogollisti, ed infine tra il 1997 ed il 2002, quando Chirac dovette coabitare con un governo guidato dal socialista Lionel Jospin.
Sul piano politico, gli effetti di questo scenario sarebbero quantomai rilevanti. Appena eletto, il neopresidente si troverebbe davanti per tutto il mandato un’Assemblea nazionale espressione di una maggioranza opposta a quella presidenziale ed un governo che, di conseguenza, sarebbe totalmente svincolato dal controllo dell’Eliseo e che condurrebbe in piena autonomia la politica economica e la gestione dell’ordine pubblico, lasciando al Capo dello Stato solo un ruolo predominante nella gestione della politica estera e della difesa.
CONFLITTO O COLLABORAZIONE?
Come è stato più volte sottolineato, il sistema della Quinta Repubblica funziona se il governo è espressione della stessa maggioranza presidenziale, svolgendo così in pieno il suo ruolo di esecutore delle linee-guida tracciate dall’Eliseo. Nell’ipotesi della coabitazione, invece, il presidente si troverebbe limitato ad esercitare una funzione di primo piano nel solo campo militare (settore considerato come un “dominio riservato” presidenziale) ed internazionale, ma non avrebbe più voce in capitolo nella gestione della politica nazionale.
Difatti, nel caso in cui il centrodestra ottenesse un’affermazione alle legislative conquistando una maggioranza parlamentare autonoma, questo imporrebbe all’Eliseo un programma molto distante da quello presidenziale, viste le sostanziali differenze emerse tra i due schieramenti durante la recente campagna elettorale.
Ed è qui che entra in gioco un altro elemento, ovvero l’aspetto che assumerebbe l’eventuale coabitazione tra il presidente ed il primo ministro. Come hanno infatti mostrato le precedenti esperienze, questa potrebbe prendere un aspetto conflittuale (con il presidente che cercherebbe di imporre le sue prerogative al governo ricordando inoltre come rimanga sempre suo potere procedere allo scioglimento anticipato dell’Assemblea nazionale), oppure collaborativo, nel caso in cui invece le due teste dell’esecutivo negoziassero un compromesso per definire le rispettive funzioni.
DESISTENZA ELETTORALE E RISCHIO DEBOLEZZA
Ma anche qualora dalle legislative non uscisse una maggioranza chiara, il compito di Macron si presenterebbe comunque complicato. Esclusa ogni collaborazione con la sinistra radicale (tanto che lo stesso Jean-Luc Mélenchon non ha voluto dare indicazioni di voto chiare per il ballottaggio), al neopresidente resterebbe solo la possibilità di dialogare con i socialisti e la destra moderata.
Ma i rapporti con il Ps non sono mai stati facili e, se anche diversi esponenti del governo Hollande – a cominciare dall’ex premier Manuel Valls e dal ministro della Difesa Jean-YvesLe Drian – si sono già alleati con Macron, molti nel partito guardano con sfavore a questa prospettiva; senza contare che il disastroso risultato delle presidenziali potrebbe lasciare i socialisti con appena qualche decina di parlamentari.
La soluzione più vantaggiosa per entrambe le parti sarebbe quella di negoziare un accordo di desistenza elettorale prima del voto, senza il quale, secondo stime attendibili, sia il Ps sia “En Marche!” riuscirebbero ad eleggere appena una quarantina di deputati; ma si tratta di una soluzione di difficile attuazione sul piano politico. Resterebbe quindi soltanto la cooperazione con la destra dei Républicains.
E se per alcuni questo scenario rappresenterebbe un equilibrio tra un presidente giovane ma allo stesso tempo inesperto ed un governo comunque espressione di forze moderate ed europeiste capace di andare avanti senza troppi scossoni, per i più critici uno scenario simile riporterebbe invece a quanto avvenuto durante la Quarta Repubblica, dove i Capi dello Stato erano deboli ed il Parlamento frammentato e diviso.
Rodolfo Bastianelli, giornalista e professore a contratto di storia delle relazioni internazionali, collabora con “L’Occidentale”, “Informazioni della Difesa”, “Rivista Marittima”, “Limes” ed “Affari Esteri”. Ha curato la politica estera per “Ideazione” e la rivista “Charta Minuta” della fondazione “Fare Futuro”.
(Articolo tratto dal sito AffarInternazionali)