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Cosa prevede il programma economico di Marine Le Pen

Marine Le Pen programma economico

I punti principali del programma economico di Marine Le Pen del Front National (FN) sono:

– L’uscita dall’euro e sospensione di Schengen. Secondo il FN, l’abbandono dell’Eurozona dovrebbe far risparmiare al Paese circa 6,1 miliardi all’anno in maniera permanente. La valutazione è alquanto semplicistica, considerando la complessità del processo di sganciamento dall’unione monetaria e le turbolenze a cui sarebbe associata, che sono per lo più ignorate;

– Riduzione della tassazione al 15% per le piccole e piccolissime imprese, creazione di un nuovo scaglione per le medie imprese al 24% (PMI) e mantenimento dell’attuale soglia del 33,3% solo per le grandi imprese. Il costo sarebbe pari a quasi 2,1 miliardi in totale;

– Per i redditi delle famiglie, abbattimento delle aliquote per ciascuno dei primi tre scaglioni del 10%. Il costo dovrebbe aggirarsi attorno ai 7,8 miliardi fino al 2022;

Diverse misure proposte dal FN implicano un aumento della spesa pubblica:

– Aumento del potere d’acquisto delle famiglie a basso reddito e dei pensionati con pensione minima tramite riconoscimento di un reddito integrativo di 80 euro al mese, da finanziarsi con l’introduzione di un’accisa del 3% sulle importazioni (misura, questa, incompatibile con le regole di funzionamento dell’UE);

– Aumento del budget della difesa al 2% del PIL dal 2017, per tendere al 3% a regime. Il costo sarebbe di 3,3 miliardi nel primo anno e di quasi 24,6 miliardi fino al 2022;

– Abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni e con 40 anni di contributi. Secondo il FN, la riforma si autofinanzierebbe attraverso la soppressione dell’AME11, l’assistenza sanitaria agli immigrati;

– Soppressione delle Regioni (senza indicare che ne sarà degli 80 mila funzionari statali che ne dipendono);

– Aumento dei fondi per la ricerca all’1% del PIL, pari in totale a 5,3 miliardi;

– Aumento del budget per il mantenimento del patrimonio immobiliare dello Stato, pari a 0,2 miliardi annui: in totale 1 miliardo; creazione di 40 mila nuovi posti nelle carceri, pari a una spesa da 2,3 miliardi: in tutto 3,3 miliardi;

– Taglio delle spese destinate all’accoglienza dei migranti per circa 0,9 miliardi totali, riduzione dell’immigrazione legale da 200 mila ingressi all’anno a 10 mila.

Assumendo che i provvedimenti vengano implementati progressivamente dal 2018, l’effetto (che include solo le misure per cui è stato possibile calcolare l’impatto) sarebbe un aumento netto della spesa pubblica di circa 44 miliardi nel quinquennio, che aumenterebbe il deficit nominale di oltre due punti dal 3% stimato per il 2017 ad oltre il 5% nel 2022, portando anche il deficit strutturale a salire dall’1,9% attuale. Lo stimolo alla crescita derivante dal calo delle tasse e dalle integrazioni ai redditi svantaggiati (ma al netto delle spese per la difesa) sarebbe di circa l’1% del PIL fino al 2022, pari a un paio di decimi all’anno.

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