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Alitalia, ecco tutti i perché del disastro targato Etihad (e non solo)

Di Alfredo Roma
Alitalia

In base alla legge Marzano del 2004, il CdA di Alitalia ha avviato la procedura per l’amministrazione straordinaria della compagnia. Il governo ha nominato tre commissari di alto spessore professionale. Uno di questi, Stefano Paleari docente universitario, conosce il trasporto aereo.

Inoltre, il governo ha concesso un prestito ponte di 600 milioni di euro (il doppio della cifra inizialmente prevista) autorizzato dalla Commissione europea. Questa mossa conferma che il governo si è reso conto che non può abbandonare Alitalia perché svolge un servizio pubblico che assicura una parte della continuità territoriale, come previsto dall’articolo 16 della Costituzione.

I commissari si trovano a dover amministrare un’azienda che perde circa due milioni di euro al giorno. Se nulla viene fatto sul piano operativo e strategico, tra 300 giorni il prestito sarà andato in fumo e si dovrà dichiarare il fallimento di Alitalia. Infatti, il problema di Alitalia non è finanziario, ma economico. Si può fare un aumento di capitale di un miliardo, ma se non si opera sulla strategia e sul posizionamento nel mercato le perdite supereranno il miliardo.

LE RAGIONI DEL DISSESTO
È importante conoscere le ragioni per le quali Alitalia si trova in questa situazione. Essenzialmente quattro i motivi:

1. Nel 1992 l’Unione europea ha completamente liberalizzato il trasporto aereo: da allora qualsiasi vettore comunitario può operare una qualsiasi rotta all’interno dell’Ue o all’interno dei suoi Paesi membri (cabotaggio). In seguito alla liberalizzazione, si sono sviluppate le compagnie lowcost: aerei nuovi, tutti uguali per ridurre i costi di manutenzione, i fermi macchina e il magazzino ricambi; nuovi contratti di lavoro per il personale navigante; e servizi di bordo a pagamento.

Già dai primi Anni Novanta si doveva capire che il futuro del corto/medio raggio sarebbe stato delle compagnie lowcost e che, quindi, si doveva sviluppare il lungo raggio, regolato da accordi bilaterali di traffico (Air Service Agreements) di cui per l’Italia era titolare Alitalia, voli per i quali si potevano mantenere tariffe remunerative grazie alla limitata concorrenza. Questo non avvenne, anche perché la nostra compagnia di bandiera non ha mai avuto più di 25 aerei di lungo raggio, quando il gruppo Air France-Klm ne ha 158, British Airways 137 e Lufthansa 89.

2. In seguito, a questo errore di strategia si sono aggiunti gli accordi con Air France-KLM e Delta che hanno relegato Alitalia ad alimentare gli hub di Parigi e Amsterdam da dove partivano i voli di lungo raggio operati da quelle compagnie.

3. Nel 2008, con Alitalia in crisi, Banca Intesa si è inventata il progetto Fenice: Alitalia ha comprato Airone e il prezzo è stato pagato a Banca Intesa che è rientrata dalle sue esposizioni verso Carlo Toto proprietario di Airone. Poi, per puri scopi elettorali, si è difesa l’italianità di Alitalia affidandola al gruppo dei cosiddetti ‘patrioti’. Alitalia fu costretta a mettere in cassa integrazione speciale circa 6000 dipendenti e ad assumere il personale di Airone. Quattro miliardi di euro è stato il costo di questa operazione per il contribuente italiano. I manager (nessuno del settore) posti dai patrioti a guidare Alitalia hanno continuato a redigere inutili e vaghi piani strategici come l’ultimo presentato due settimane fa.

4. Neppure l’entrata di Etihad è servita a invertire la rotta. Ci si aspettava, infatti, che Etihad mettesse a disposizione di Alitalia molti aerei di lungo raggio per operare su quelle rotte dove ancora non c’è la concorrenza delle lowcost. Ma questo non è avvenuto.

(Estratto di un’analisi più ampia uscita su www.affarinternazionali.it)

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