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Banda larga, il rimedio al digital divide in Italia secondo Ernst&Young

banda larga, Donato Iacovone

Le tecnologie Ict sono la chiave per la trasformazione digitale del nostro Paese, mentre la base di tutto è la disponibilità di banda ultra-larga. Non si può parlare di Industria 4.0 e di crescita o competitività senza questo sostrato. Lo sanno le telco, per le quali la trasmissione della voce non fornisce più alcun guadagno: i soldi arrivano solo dai servizi. E lo sanno le imprese dell’Ict, ma l’Italia si deve rafforzare nella capacità di fare ecosistema in modo trasversale. Il libro bianco appena pubblicato da Ernst&Young sul digital divide in Italia fornisce molti dati utili per misurare i progressi compiuti in Italia ma anche per capire i passi che restano da fare.

OCCASIONE PER L’ITALIA

“Le tecnologie sono il volano della trasformazione digitale, con un impatto che tocca tutti i settori”, dice Donato Iacovone (in foto), amministratore delegato di EY in Italia e managing partner dell’area mediterranea. “Per l’Italia il digitale è un’opportunità straordinaria perché fa sparire l’intermediazione fra fabbrica e cliente”.

Se c’è un punto su cui l’Italia è fortissima sono proprio le fabbriche, ma in passato siamo stati costretti a affidarci all’intermediazione di altri paesi: la Francia per la moda, la Germania per prodotti dell’industria pesante e così via. “Oggi però si vende online”, sottolinea Iacovone, “e questo aiuta anche le start-up“, perché il sapere artigianale, artistico, creativo italiano può prendere il volo diretto per i mercati internazionali.

Questo processo ridisegna velocemente la catena del valore creando ulteriori opportunità: “Sì, il nostro sistema industriale è lento a muoversi, ma è vero anche che esporta per un valore di 440 miliardi di euro l’anno”. Ora si può dare la “scossa” mostrando che cosa, in concreto, le imprese riescono fare con le nuove tecnologie: Big data e analytics, sistemi cognitivi, blockchain e tante altre applicazioni innovative. Ed è per questo che sul digitale sarà concentrato l’annuale appuntamento EY Capri del prossimo ottobre: “Vogliamo condividere le esperienze che già ci sono coinvolgendo l’intero ecosistema”.

UN MOMENTO IRRIPETIBILE

I 2,6 miliardi di fondi pubblici per la banda ultra-larga, a cui si sommano investimenti ancora maggiori da parte di alcuni operatori privati,  rappresentano un impegno a investire senza precedenti nel recente passato del nostro Paese: lo hanno detto le aziende – Tim, OpEnfiber, Infratel, Sirti, Cellnex, Ceit, Valtellina, Site, Linkem, Retelit, A2A, Acantho, Enel, Fastweb – e i soggetti pubblici che si sono confrontati sul grado di infrastrutturazione dell’Italia per l’ultra broadband nel corso del primo di una serie di executive circle organizzati da EY. Seconco EY il governo italiano è riuscito a creare un positivo contesto concorrenziale in cui, da un lato, si è formata una venture, OpenFiber creata da un gruppo non Tlc (Enel), che utilizzerà fondi pubblici per portare la connettività fissa ultra-veloce nelle aree meno servite, dall’altro l’operatore storico del settore, Tim, ha avviato per conto proprio ingenti investimenti per connettere l’Italia. Che cosa serve ora? Be’, è stato detto “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”; adesso, fatta la fibra, bisognerà fare i servizi. Insomma, usarla.

I DATI DEL LIBRO BIANCO

Il libro bianco EY sul digital divide (realizzato col contributo di A2A, Acantho, Enel Open Fiber-Metroweb, Sielte, Sirti, Uniontrasporti e il patrocinio del Mise e dell’Agcom) dimostra che lo sviluppo della banda ultra-larga ha rimesso in moto, negli ultimi due anni, la crescita degli accessi broadband in Italia, con un tasso del 4% tra 2014 e 2016. Il trend è positivo anche quest’anno: EY prevede nel primo trimestre 2017 almeno 250.000 nuovi accessi. La copertura di banda larga fissa è ora del 63% (+20% rispetto al 2015); sul mobile siamo già al 99%, mentre sul Fixed Wireless Access, un’evoluzione del WiMax, la copertura è del 67%. Ci troviamo in una fase di accelerazione: gli autori del report di EY, Roberto Mastropasqua e Silvestro Demarinis, che hanno presentato il libro bianco alla presenza dell’Ad  Iacovone e di Fabrizio Pascale, partner Technology, Media & Telecommunication Leader di EY, osservano che in Italia l’ultra-broadband impiegherà meno di 4 anni per passare da una copertura del 20% a una dell’80% mentre la banda larga ce ne ha messi sei.

PRO E CONTRO DEL MERCATO

I tassi di crescita delle infrastrutture sono dunque positivi; l’utilizzo, invece, ancora scarso. In Italia c’è un problema di alfabetizzazione digitale: per molte famiglie e imprese la domanda resta “Che ci faccio con la banda ultra-larga?”. E finché la banda ultra-larga sarà percepita come un costoso servizio anziché un prezioso strumento, il problema diventa doppio: per le Telco, che devono tenere i prezzi di vendita bassi e hanno difficoltà a ripagarsi gli investimenti, e per il sistema-paese, che fatica a digitalizzarsi. “Il mercato della banda ultra-larga è caratterizzato da una molteplicità di operatori e questo è un elemento molto positivo, ma ora dal concetto di rete dobbiamo passare a quello di servizio-applicazione”, spiegano gli analisti di EY. “Bisogna stimolare la domanda, far capire che la fibra è un  vantaggio per l’intero territorio – gli operatori, nazionali e locali, la filiera Ict e i distretti industriali, chi sviluppa servizi evoluti, e così via”.

INDUSTRIA 4.0: UN PARADOSSO?

C’è in particolare una criticità da risolvere: guardando alle zone industriali italiane in vista di Industria 4.0, la situazione infrastrutturale è scoraggiante, perché la copertura è sotto la media complessiva del paese. Insomma, i distretti industriali sono meno raggiunti dalla banda ultra-larga. Sicuramente il mercato consumer è più attraente per gli operatori perché ha volumi che garantiscono guadagni maggiori e certo non è indispensabile che ogni singola impresa usi la banda ultra-larga, se si tratta di micro-esercizi commerciali con un solo addetto. Resta però il fatto che in Italia l’80% delle zone industriali si trova in aree in digital divide, il 13% delle imprese non ha alcuna copertura fissa e il 20% non è digitalizzata. Questi dati forniti da EY indicano, da una parte, che l’Italia è ricca di imprese, ma dall’altro che questo tessuto è parcellizzato, frammentato, difficile da raggiungere con la fibra ottica e ancor più col messaggio del “go digital”. L’Italia dovrà trovare la quadratura del cerchio, creando l’infrastruttura, ma senza correre il rischio di un investimento in fibra “a pioggia” che non raggiunge le imprese e i distretti dove la fibra serve di più.

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