Nel corso della presentazione del suo libro “Siria. L’ultimo genocidio” (Castelvecchi, p.192), avvenuta ieri 24 maggio all’Istituto per l’Oriente di Roma, il giornalista di lungo corso Riccardo Cristiano, prima coordinatore dell’informazione vaticana a RadioRai e ora firma di Formiche.net, ha esordito riportando, tra i fatti che non ha potuto inserire, le parole del terrorista venezuelano noto come comandante Carlos, convertito all’Islam da uno sciita: “Il terzomondismo non funziona più, non risponde alle esigenze di questa società contemporanea. Il comunismo nemmeno. Ci serve l’Islam”. Elencando, ha citato Cristiano, “i suoi guru: Bin Laden, Saddam Hussein, Hafiz al Asad, Abu Nidal”. Teorizzando cioè “molto prima dei sociologi europei l’islamizzazione del radicalismo, e non la radicalizzazione dell’islam: un kit per i nuovi nichilisti”.
Frasi contrapposte, subito dopo, a quelle espresse in uno degli ultimi testi del politico libanese Samir Frangieh, cristiano maronita, venuto a mancare il mese scorso e descritto dal giornalista come “anticipatore a suo modo della predicazione di Papa Francesco”: “Non ci può essere altra politica che non quella dell’inclusività, indicazione alla base della cultura del vivere insieme e che ha avuto in Libano la sua esplicazione. Altrimenti la comunità diventa una gabbia e la società esplode”. Così che, ascoltato il confronto tra i due, raffiguranti due visioni del mondo agli antipodi, il giudizio vien da sé.
Perché quella del libro di Riccardo Cristiano è anche una storia di cattivi e di buoni maestri, considerando per di più che “la finezza è nelle sfumatura dei racconti, nonostante i giudizi molto netti che dà”, ha commentato il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, di ritorno dall’incontro di Trastevere con la first daughter del presidente degli Stati Uniti Ivanka Trump. E infatti acconsente senza dubbi, l’autore, ascoltando il giudizio della collega conosciuta direttamente sul terreno siriano, la professoressa di Letteratura araba alla Sapienza Isabella Camera d’Afflitto, quando afferma che “è un libro di parte”, ma nel senso che risolve interrogativi offrendo “risposte documentate”.
Di certo non nel senso di andare a ripescare ardite teorie sullo scontro di civiltà, sebbene sempre di facile appeal, specialmente di fronte ad attentati sempre più tragicamente efferati. Ma considerando allo stesso modo che la civiltà del convivere resta un’occasione mancata in seguito alla perdita di Aleppo, sotto le macerie, luogo che “avrebbe potuto essere un modello per le nostre città”, ha affermato Impagliazzo. “Aleppo ha incarnato il tema della convivenza, un simbolo di cultura e coabitazione, e averla persa è stato davvero un disastro. Non potremo più spiegare cosa significherà vivere insieme in Medio Oriente. Saremo capaci noi di realizzarla qui? Sarà una costruzione complicata”.
Si tratta infatti per l’autore, molto più semplicemente, di stare dalla parte dei cittadini, della società civile, di chi da anni subisce “violenze naziste”, come quelle nelle celle di detenzione siriane raffigurate nella mostra “Nome in codice: Caesar”, evocata al termine dell’incontro. E quindi inevitabilmente dalla parte del dialogo, quello a cui esorta in continuazione Bergoglio, lo stesso che si evince dal sottotitolo del libro, seppure declinato in maniera amara: “Così hanno vinto i nemici del dialogo”.
Perché rimane sempre la soluzione più facile, anche per gli stessi siriani, rinchiudersi nella paura e nella sicurezza che può garantire un “protettore” come Bashar Al Assad, chiudendo gli occhi sui crimini perpetuati dal regime nel corso degli anni, in cambio soltanto di una stabilità compiacente. “I cristiani orientali sono vissuti per secoli sotto la protezione dell’impero – ha proseguito Impagliazzo -. Così si sono pensati e così continuano a pensarsi, ad esempio in Iraq con Saddam Hussein o in Siria con Assad. Ma non in Libano, di cui nel libro ci sono pagine bellissime, dove però vediamo lo strapotere degli Hezbollah che si allarga”. Si è trovato cioè “in Assad un protettore, non avendo uno sguardo più generale della situazione. Non giustifico, ma arrivo a comprendere”.
È infatti facendo parlare autorità religiose, rappresentati politici, intellettuali, che nel libro emergono “pagine che fanno commuovere”, continua il presidente della Comunità di Sant’Egidio. Dove si “parla delle sofferenze dei civili, della gente, di chi è stato ostaggio da una o dall’altra parte. E la bellezza e la finezza che si respirano sono anche quelle dello storico. Nei flashback del sistema ottomano, della Siria, della Libia, e nell’idea ferrea di essere dalla parte degli sconfitti, di un popolo in ostaggio, colpiti da bombardamenti mai ben identificati. Persone che scappano dalla guerra, di fronte alle quali bisogna togliersi il cappello”. Questo perché, in definitiva, “la grande malattia del Medio Oriente è stato il nazionalismo”, ha concluso Impagliazzo. E “la vera via d’uscita un giorno sarà la piena cittadinanza. La storia dei cristiani protetti è la doppia faccia della stessa medaglia”.