I talent sono uno dei format tv del momento, è noto. Difficile dire perché se ne parli così male quando invece tanta gente li segue. Lasciamo stare quelli musicali, dove subentra il mercato in crisi, lo strapotere di Amici e Maria de Filippi, un giro di interessi e di invidie molto complesso. Ma il normale talent, o per meglio dire il talent eccezionale, quello che carrella fenomeni dei generi più vari, in realtà riprende la tradizione circense, il teatro popolare, l’arte di strada: la capacità di meravigliare il pubblico con un’esibizione di virtuosismo inconsueto. Che c’è di male?
Solo la visione. La regia. Il montaggio. Quell’assurdo meccanismo per il quale sono i cosiddetti giurati, e non gli artisti, i protagonisti dello spettacolo. Quel taglio continuo, assurdo, criminale delle immagini che interrompe il gesto atletico per mostrare la faccina estasiata dello spettatore o del vip. Ecco perché i talent vanno visti a teatro, con i propri occhi, con la testa e il cuore che decidono di momento in momento dove focalizzare l’attenzione senza mai perdere di vista l’insieme.
Che gli Stomp siano dei talenti non c’è dubbio. Chiamiamoli percussionisti e ballerini, se vogliamo, ma a loro come pochi altri si adatta il termine – abusato nel mondo dello spettacolo – di performer, cioè artisti-atleti. Sul palco, gli otto membri della compagnia, sei uomini e due donne, esibiscono forza muscolare e agilità a volte inimmaginabili: uno dei ragazzi è un “ciccione” che esibisce orgogliosamente la propria pancia, facendola ballare e tamburellandoci con le dita.
Gli Stomp possono suonare, e suonano, di tutto: scatole, tubi, scope, bastoni, barattoli, lavandini pieni e vuoti (li svuotano loro, sul palco, con una divertente “pipì”: il registro comico è sempre prevalente). Ma soprattutto le mani. Le mani e i piedi sbattono su qualunque superficie e il pubblico è costantemente invitato ad accompagnarli allo stesso modo. Difficile resistere, tanto che il pubblico esce mimando un po’ goffamente il coordinatissimo spettacolo che ha appena visto.
In scena (sono al Brancaccio di Roma fino al 21 maggio, ieri si è tenuta la prima vip) si arrampicano poi su una parete attrezzata dove, di nuovo, trasformano il rumore in musica. E il messaggio non subliminale è appunto che qualunque ambiente, oggetto, utensile è buono per creare vitalità, gioia e divertimento. Un sovvertimento totale rispetto alla cultura giovanile anglo-americana, della quale pure gli Stomp sono parte a pieno titolo, che in genere utilizza le cifre della rabbia e della protesta molto più di quelle dell’ironia e del sorriso. Rumori d’artificio, verrebbe da definire questo show: sembra di assistere a uno spettacolo di giochi pirotecnici, ma sonori.
Già dieci anni fa la compagnia aveva raggiunto le 5.000 repliche e senza un allenamento e un esercizio costante così intenso e collaudato non si potrebbe ottenere il coordinamento ininterrotto che lo spettatore ammira in scena. L’idea degli Stomp parte nel 1986 con gli Yes/No People ed è dal 1992 in tournée in tutto il mondo (Australia, Europa, Hong Kong, Giappone, America). Arrivano per la prima volta a Roma nel 1996, ma dal 2007 la compagnia è in Italia ogni anno, registrando il tutto esaurito. Al di là dei premi vinti, è significativo che l’angolo tra la 2nd Avendue e 8th Strada presso cui si trova l’Orpheum Theatre, il teatro dell’East Village dove gli Stomp si esibiscono, sia stato ribattezzato Stomp Avenue.