Skip to main content

Perché all’Italia non conviene uscire dall’euro. Parola di Visco

Pubblichiamo una parte delle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco tenute nel corso dell’assemblea annuale della Banca d’Italia.

È un’illusione pensare che la soluzione dei problemi economici nazionali possa essere più facile fuori dall’Unione economica e monetaria. L’uscita dall’euro, di cui spesso si parla senza cognizione di causa, non servirebbe a curare i mali strutturali della nostra economia; di certo non potrebbe contenere la spesa per interessi, meno che mai abbattere magicamente il debito accumulato. Al contrario, essa determinerebbe rischi gravi di instabilità. La competitività dell’Italia non soffre per un cambio sopravvalutato; le partite correnti della bilancia dei pagamenti sono in avanzo; è stato difeso il potere d’acquisto. Le regole europee di finanza pubblica contengono elementi di flessibilità, da utilizzare prestando sempre attenzione alle dimensioni e al rinnovo del debito.

La politica monetaria ha fatto ciò che era necessario per l’area nel suo complesso, mirando a garantire, con il sostegno alla domanda, il mantenimento della stabilità dei prezzi; continuerà a farlo nei modi e nei tempi appropriati. Si discute spesso, non sempre con il necessario approfondimento analitico, del momento in cui si uscirà dall’attuale fase fortemente espansiva. Se ne parla a volte per richiederne un’accelerazione forzata, altre volte agitando al contrario lo spettro di possibili conseguenze drammatiche.

Quando la decisione sarà presa vorrà dire che nell’area si saranno ristabilite le condizioni di domanda aggregata e dei prezzi alle quali miriamo. A livello nazionale l’uscita sarà gestibile se i comportamenti saranno responsabili. Non deve preoccupare, in prospettiva, il graduale ritorno su livelli più elevati dei tassi di interesse se si alzeranno i tassi di crescita. Quello da cui bisogna guardarsi è piuttosto il rischio di un loro aumento dovuto a un calo di fiducia dei mercati, le cui conseguenze, dato il peso del debito pubblico, potrebbero essere serie. In Europa affrontiamo questioni difficili: l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea; i crescenti flussi migratori; la minaccia del terrorismo. L’ostacolo più arduo da superare è il vuoto di fiducia che è maturato in questi anni, il riemergere di diffidenze e pregiudizi tra i paesi membri e tra i popoli d’Europa e le istituzioni europee. Vanno contrastati con forza.

Il processo di integrazione europea ci ha garantito settant’anni di pace e di prosperità. Ha consentito a generazioni di giovani di fare esperienze di studio in altri paesi, di acquisire un sentire comune superando barriere di lingua e di cultura nazionali; ha offerto agli adulti occasioni di lavoro e di crescita professionale; ha contribuito all’intensificazione degli scambi commerciali e finanziari. L’Europa deve restare un’ancora salda in un mondo che appare sempre più instabile e politicamente imprevedibile. La disponibilità a una cooperazione più stretta su temi quali l’immigrazione, la difesa, la sicurezza, la giustizia e la rappresentanza internazionale costituisce un indubbio segnale positivo. Bisogna proseguire su questa strada, sciogliendo i nodi che ancora ostacolano l’efficacia del governo economico dell’area.

Anche noi a volte critichiamo regole europee di cui non siamo completamente soddisfatti o scelte di autorità europee che non condividiamo, ma non per mettere in discussione il cammino dell’Europa. Crediamo – e lo abbiamo detto più volte – che uno dei problemi che la crisi ha reso evidente consista proprio nell’incompletezza della costruzione, specie nel campo economico e finanziario. La governance europea del settore si è basata finora quasi solo su regole che, nella ricerca esasperata di garanzie reciproche, vincolano le scelte di ciascun paese. Ne è risultata un’Unione più forte nel proibire che nel fare. Lo si vede nel caso della finanza pubblica dove in assenza di un bilancio comune è stato difficile garantire sostegno alla ripresa economica. Lo si vede nella gestione delle crisi bancarie e nella tutela della stabilità finanziaria, dove la frammentazione dei poteri tra un numero elevato di autorità finisce talvolta col rendere difficile l’individuazione delle misure da prendere, rallenta azioni che, per essere efficaci, richiederebbero invece estrema rapidità.

Proseguire con compromessi successivi diventa sempre più difficile. Completare l’Unione bancaria e introdurre quella dei mercati dei capitali sono chiari obiettivi immediati. Ma il vero compimento della costruzione avverrà solo con lo sviluppo di istituzioni designate democraticamente a gestire la sovranità comune.


×

Iscriviti alla newsletter