Che in Italia l’antiterrorismo funzioni, oltre a essere una tesi fino ad ora supportata dai fatti, cioè la mancanza di attentati, lo ha ammesso nei giorni scorsi pure il Guardian. Il quotidiano inglese ha individuato gli elementi di pregio del nostro sistema: esperienza maturata negli anni di piombo, dialogo tra forze di polizia, controllo del territorio. Oltre all’assenza di immigrati naturalizzati italiani di seconda e terza generazione, maggiormente suscettibili alla propaganda dell’Isis, e quindi conservando la possibilità di rispedire nei Paesi di provenienza chi non ha la cittadinanza.
I DIECI ANNI DEL NUCLEO INVESTIGATIVO CENTRALE DELLA POLIZIA PENITENZIARIA
Ma al di là di quanto è stato evidenziato dall’inchiesta del giornale britannico c’è anche il lavoro di prevenzione nelle carceri, che si sostanzia nei dati dell’attività svolta dal Nic – il Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria – elencati dal comandante Augusto Zaccariello (nella foto) durante il convegno che ha celebrato i dieci anni dell’organo di investigazione, svoltosi il 27 giugno a Roma presso la sede della Scuola di Formazione “Giovanni Falcone”. Che ha visto tra i relatori, assieme ai numerosi ospiti in platea appartenenti ai vari corpi di polizia, il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, intervenuto dopo i saluti inviati dal ministro della Giustizia Andrea Orlando.
UN BILANCIO DELL’OPERATO ATTRAVERSO I DATI
Un bilancio, quello di Zaccariello, dei dieci anni di attività del Nic: “750 deleghe di indagine, in gran parte assegnate dalle Dda, con 111 arresti, la cattura di 35 evasi e di 16 latitanti, il sequestro di beni immobili per 15 milioni, l’intercettazione di conversazioni nell’ambito di oltre 250 decreti” e “4500 segnalazioni”. Tutte legate a reati di terrorismo interno ma anche a consorterie mafiose, e che si sommano alle analisi sulle bande internazionali presenti nel nostro territorio.
IL CONVEGNO ALLA SCUOLA DI POLIZIA “GIOVANNI FALCONE”
Durante il convegno si è trattato principalmente dell’azione di contrasto al terrorismo nelle carceri. Ciò che emerge, secondo quanto ha affermato la direttrice dell’Ufficio Attività ispettiva e di controllo Gianfederica Dito, è che le informazioni raccolte sono “sempre più puntali e scremate”, e forniscono un “prezioso e qualificato contributo al lavoro delle procure”. Ma centrale è anche il tema della cooperazione tra forze di polizia, che “assume una valenza strategica per un sistema di sicurezza integrato”, ha rimarcato Zaccariello.
TUTTI I MERITI DELL’ANTITERRORISMO ITALIANO E DEGLI ITALIANI
Ma qual è il segreto di questo modello italiano di contrasto della radicalizzazione, riconosciuto come positivo a livello internazionale? “Impegno, pazienza, metodo, dedizione”, ha affermato Zaccariello. Che però, a detta del capo dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo, non sono le uniche ragione: “Lo dobbiamo anche alla nostra capacità di conoscenza, e di monitoraggio delle conoscenze, unica al mondo. Lo dico con orgoglio. Noi italiani abbiamo uno spiccato senso di umanità, accoglienza, comprensione, sostegno, sacrificio. Perché nelle carceri c’è sofferenza, e starci dentro significa soffrire insieme”. Se quindi ci si chiede perché in Italia non si sono finora verificati attentati, la risposta è: “forse perché non si fa scattare quella molla che si chiama odio”.
LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA” DEL CASA, OVVERO LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI
Parte del merito, si è convenuto, va attribuito anche al ministero degli Interni, in primis per “la felice decisione di dare vita già nel 2004 al Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo, il Casa”. Che in realtà nasce ancora prima, nel 2003. E in maniera informale, cioè come gruppo di lavoro voluto dal ministro Giuseppe Pisanu, come ha ricordato il direttore della seconda divisione del servizio centrale antiterrorismo Claudio Galzerano: “Mettendo insieme i vertici di ciascun settore per discutere e analizzare le singole minacce si sono unite esperienze e attività informative, dando la possibilità di interloquire con le fonti di informazione. E per chi si occupa di prevenzione sapere se una fonte è compulsabile, interna, internazionale, è fondamentale per muovere le pedine sul terreno. Il Casa è stata una rivoluzione copernicana”.
“VINCE LO SPIRITO SOTTESO”. E “BISOGNA ESTENDERE LA QUALITÀ DI ASCOLTO”
Anche se il fattore vincente è da rintracciare nello spirito sotteso, nella volontà cioè di condividere informazioni e responsabilità, ha proseguito Galzerano. Che in Italia “ha reso possibile redigere una lista di foreign fighters, che sono 125, a dimostrazione di solidità e di saper fare sistema a costo zero”. In quanto il Casa è “una comunità, un luogo fisico di convergenza di interessi e sentimenti”. E la tradizione “tipicamente italiana” di “interagire con le persone” e “stimolarne l’osservazione per ricevere informazioni”, entrando “in empatia”, si oppone alla scuola che punta solo su tecniche di “captazione e intercettazione”, ha aggiunto il vice direttore dell’Aisi Valerio Blengini. Soluzione che vale anche per i “lupi solitari”, per i quali bisogna “estendere la qualità di ascolto” e “osservare i cambiamenti”: “I ragazzi sul territorio sentono in maniera fortissima il senso di responsabilità”.
“NON SI POSSONO ACCETTARE LE PROVOCAZIONI, SI DEVE CERCARE DIALOGO”
Tuttavia servono anche “trasparenza nella riservatezza” e “tracciabilità del reciproco operato”, ha annotato Consolo. Nei casi invece che coinvolgono Stati stranieri, “da parte nostra le segnalazioni ci sono state, e abbiamo visto assenza di collaborazione”. Mentre in Italia “gli oneri sono solo il carico dell’immigrazione o anche l’elevata presenza straniera nei nostri istituti?”, ha domandato il magistrato. Che ha concluso: “All’evoluzione delle forze di attacco non si può rispondere accettando le provocazioni. Mi ha sconvolto l’attacco di Londra contro le popolazioni islamiche. Non si possono contrapporre tra loro delle civiltà, che devono cercare dialogo, collaborazione e progresso reciproco”