(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)
Mentre in Gran Bretagna, dove il terrorismo islamista non fa certamente sconti, come non ne faceva in guerra Hitler con i bombardamenti continui su Londra, si marcia puntualmente verso le elezioni anticipate, alle quali mancano ormai solo due giorni mentre scrivo, a meno di due mesi dalla decisione del governo di ricorrervi, in Italia si moltiplicano gli sforzi per evitarle.
Quanto più i partiti maggiori si avvicinano, bene o male, all’approvazione di quella riforma elettorale invocata dal presidente della Repubblica per rimediare ai pasticci combinati con le sue sentenze dalla Consulta ed avere quindi a disposizione tutti gli strumenti costituzionali per fronteggiare una crisi di governo, promossa o subìta che sia dal presidente del Consiglio, compreso quindi il diritto di sciogliere anticipatamente le Camere, tanto più si strattona il capo dello Stato perché mantenga in vita questa diciassettesima legislatura sino alla scadenza ordinaria. Cui manca d’altronde assai meno di un anno, per cui si gioca su una corda lunga non più di quattro o cinque mesi, rispetto ai cinque anni o ai 60 mesi dell’intero mandato dei deputati e dei senatori in carica.
Già queste dimensioni dimostrano da sole il carattere specioso delle manovre o pressioni sul Quirinale, che hanno preso ormai il sopravvento sulle manovre su Palazzo Chigi, dove solo gli ingenui o i troppo furbi, come preferite, vorrebbero il conte Paolo Gentiloni interessato e deciso a rimanere al suo posto ad ogni costo per difendere, a questo punto, il bidone della cosiddetta stabilità di governo, di sistema e quant’altro. Bidone, perché non ha senso alcuno definire stabilità ciò che stabile non è, non passando ormai giorno senza che qualcuno degli stessi sostenitori della resistenza ad oltranza di Gentiloni a Palazzo Chigi gli creano problemi in Parlamento, a volte persino minacciando di farlo cadere su qualche legge sgradita.
Va bene che Pier Luigi Bersani, passato con Massimo D’Alema dal Pd al suo rovescio Dp per difendere, a suo dire, il governo Gentiloni dalla frenesia elettorale di Matteo Renzi, si muove ora ad energia “nucleare”, come ha recentemente spiegato all’Espresso rinunciando alle vecchie metafore dei tacchini, delle mucche e dei giaguari, ma dovrebbe pur esserci un limite alla disinvoltura. Non si può prendere o lasciar prendere a calci il governo un giorno sì e l’altro pure e incoraggiarlo contemporaneamente a stare in piedi, o reclamare dal presidente della Repubblica di praticargli personalmente iniezioni giornaliere di ricostituente.
Pure il buon Angelino Alfano si deve dare una regolata. Non può di mattina insultare Renzi che ha osato rinfacciargli di essere da più di quattro anni al governo e di morire adesso dalla paura o dalla terribile certezza di non ottenere nelle urne neppure il 5 per cento dei voti necessario con la legge elettorale in cantiere per riportare i suoi almeno in Parlamento, e nel pomeriggio sfidare lo stesso Renzi a far cadere pure Gentiloni, dopo avere a suo tempo allontanato da Palazzo Chigi Enrico Letta. Di cui lo stesso Alfano era vice presidente del Consiglio, oltre che ministro dell’Interno, ma non si ricorda onestamente alcuna parola o iniziativa, a suo tempo, per proteggerlo.
Anche su quel versante ci vorrebbe quindi un po’ meno disinvoltura e un po’ più di memoria per ricordarsi, fra l’altro, della smania che l’allora ministro dell’Interno di Renzi aveva il 5 dicembre scorso di mandare gli italiani alle urne entro febbraio e della decisa opposizione che oggi pratica, da ministro degli Esteri, alle elezioni anticipate.
Tutto questo – dalle cose di Bersani a quelle di Alfano – il presidente della Repubblica lo sa bene. Per cui è augurabile che non si lasci condizionare più di tanto per un irragionevole, a questo punto, accanimento terapeutico nei riguardi di una legislatura ormai così consapevole di essere arrivata alla fine da stare facendo testamento con l’approvazione della riforma elettorale, necessaria a staccarle la spina.