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Francesco Giavazzi, le acrobazie del prof. turbo liberista su Mps, Popolare di Vicenza e Veneto Banca

C’è un turbo liberista che plaude allo Stato che entra nelle banche. C’è un anti statalista che apprezza finanziamenti statali ad hoc ad altre banche che acquisiscono al costo di un euro due good bank. C’è un avversario risoluto del dirigismo che invoca da tempo nazionalizzazioni a tutto spiano per le banche in crisi.

Chi è? È il più temuto, riverito, vezzeggiato e coccolato economista turbo liberista che impartisce lezioni da anni, anzi da decenni, dalla prima pagina del Corriere della Sera.

Svillaneggia le partecipazioni dirette e indirette del Tesoro in aziende strategiche come Eni, Enel, Terna, Snam e Finmeccanica ma implora i governi negli ultimi tempi a intervenire in qualsiasi modo possibile nelle banche in crisi, anche fregandosene delle norme europee.

Ecco a voi le ultime pillole del pensiero liberista – a corrente alternata – di Francesco Giavazzi.

La parola al severo prof. bocconiano:

Il Corriere della Sera, 26 giugno 2017

Finalmente, dopo cinque anni di mezze soluzioni che non hanno mai funzionato, oggi si può ragionevolmente sperare che il capitolo delle banche sia chiuso. Merito del presidente del Consiglio che con l’aiuto della Banca d’Italia e del ministero dell’Economia, in soli sei mesi di governo è riuscito a sciogliere una nube che incombeva sull’Italia da anni. Con esagerazioni («Le banche italiane sono tutte fallite») che hanno fatto del male al Paese. Le regole europee non hanno aiutato, e questa esperienza suggerisce che dovranno essere in parte corrette, ma alla fine la Commissione europea ha favorito una soluzione ragionevole. Con buona pace di chi teorizza che a Bruxelles regni un pregiudizio anti italiano.

Il Corriere della Sera, 25 giugno 2016

In altre parole, un problema sistemico che coinvolge gran parte delle nostre banche non può essere risolto internamente, richiede un intervento esterno: dello Stato o dell’ Europa. È accaduto cosi con il TARP negli Stati Uniti nel 2008-09 e più tardi in Gran Bretagna, Francia e Germania. Oggi in Europa l’utilizzo di denaro pubblico per ricapitalizzare le banche non è più concesso. O meglio, è consentito solo a condizioni impossibili, cioè dopo aver azzerato tutte le obbligazioni subordinate, che in Italia sono in gran parte detenute da piccoli investitori ignari e spesso raggirati.

L’entità dell’intervento necessario è considerevole, circa 40 miliardi di euro: 200 miliardi di sofferenze che debbono essere svalutate di un altro 20% oltre le svalutazioni già fatte dalle banche. Lo Stato investe 40 miliardi oggi che poi potrebbe 2 in gran parte recuperare quando venderà le azioni di cui entra in possesso (in Svezia negli anni ‘90 un’operazione simile si chiuse con un guadagno netto per lo Stato).

Il Corriere della Sera, 28 febbraio 2016

Per fugare l’ombra che si stende sulle nostre banche bisogna mettere in sicurezza il Monte. Servono circa dieci miliardi di euro. È escluso che vi siano investitori privati disposti a metterceli e sarebbe un delitto indurre le banche maggiori a farlo mettendone a rischio la solidità. Lo Stato sarebbe potuto intervenire quando ancora le regole europee lo consentivano, ma non lo fece. L’unica strada rimasta è usare la Cassa depositi e prestiti, un’istituzione di fatto pubblica (il maggior azionista è il ministero dell’Economia) ma che le regole europee considerano privata perché una quota di minoranza è posseduta dalle fondazioni bancarie. Per mettere dieci miliardi nel Monte la Cassa deve però vendere una parte delle sue partecipazioni in Eni, Snam, Terna, Fincantieri. Almeno temporaneamente, perché il Monte risanato fra qualche anno potrà essere venduto, come fece il governo di Londra dopo aver nazionalizzato Lloyds e Royal Bank of Scotland. Non farlo per l’orgoglio di non perdere il controllo delle aziende di cui Cdp è il maggiore azionista sarebbe una decisione poco lungimirante.

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