Charlie Gard, 10 mesi, per la Corte europea dei diritti dell’uomo deve morire. Così come hanno disposto i medici che lo hanno in cura al Great Ormond Street Hospital di Londra e le sentenze in tutti i gradi di giudizio dei tribunali britannici. Affetto da una patologia genetica rarissima (sedici casi al mondo), secondo i curanti qualsiasi trattamento non gli darebbe beneficio: per la sua dignità – si argomenta – è meglio staccare il respiratore e non proseguire oltre. I genitori avevano ingaggiato una battaglia legale. Hanno raccolto fondi in tutto il mondo per portare il figlio negli Stati Uniti e tentare una cura sperimentale. Ma i tribunali britannici hanno deciso. Ora anche Strasburgo, a cui il padre Chris e la madre Connie Yates si erano rivolti, denunciando violazioni al diritto alla vita del piccolo, alla libertà di movimento (il divieto a un trasferimento negli Stati Uniti), e un’interferenza iniqua e sproporzionata nei loro diritti di genitori. La Corte europea ha respinto il ricorso, confermando la piena competenza dei giudici inglesi a decidere sul caso. Ovvero: staccare il respiratore. Il mondo si interroga. Di quanto e come questa storia si intrecci a molto altro dell’attuale dibattito nella società (e nella Chiesa), Formiche.net ne parla con Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita, docente di Neurologia all’Università di Udine e parlamentare. Che alla Camera ha lottato contro la legge sul biotestamento, attualmente in attesa del vaglio del Senato.
Professor Gigli, la decisione della Corte europea avrà conseguenze in Italia se anche al Senato passerà la legge sul fine vita (Dat)?
Della legge in discussione in Italia penso tutto il male possibile. Malgrado questo non credo che ci possa essere un impatto simile a quello che sta avvenendo in Inghilterra. Lì sono oltre. Nel nostro Paese si discute sul “diritto” a morire esplicitamente espresso. Nel caso di Charlie non c’è nessuno che avesse questo desiderio. Si è passati dalla richiesta del “diritto” a morire, all’imposizione del “dover” morire. Espropriando papà e mamma della loro potestà genitoriale. Pur di far morire il piccolo, i suoi genitori sono sottoposti a sequestro. Gli impediscono di andare in America con il proprio bambino per tentare una cura sperimentale.
Le Dat italiane non lo prevedono. Ma non si rischia che a forza di aperture e pertugi nelle mura, si aprano falle e la diga non tenga più?
Sto alla legge. Che io non condivido. Ma attualmente non prevede anche quella deriva. Il mio giudizio riguarda il testo. Quanto possa fare una magistratura creativa non possiamo prevederlo. Certo: nulla è escluso. Ricordiamo tutti quanto avvenne con Eluana Englaro. Non posso prevedere cosa accadrà in futuro in qualche tribunale e per decisione della Cassazione.
Le corti di giustizia inglesi hanno giustificato la scelta di interrompere i supporti vitali nel “best interest”, nel migliore interesse di Charlie. Nella quotidianità accade che a volte le famiglie compiano scelte nocive per i loro figli, e lo Stato interviene.
E secondo lei intervenire per tentare una cura per il proprio figlio, per combattere per la salute del proprio figlio, è un atto contrario all’interesse del bambino? Lo Stato interviene se c’è una famiglia che non accudisce i figli, non li manda a scuola, li sfrutta in qualche modo. Nel caso di Charlie siamo davanti a una famiglia che lotta per la vita del figlio. Un diritto che ora viene negato. Si sta dando per scontato che combattere per la salute di un bambino vada contro il suo interesse. È una vergogna e un esproprio della potestà genitoriale.
Nelle sue sentenze la Corte europea per i diritti dell’uomo spesso non si intromette nelle decisioni già prese dai tribunali dei Paesi membri. Eppure è sempre molto attenta a riconoscere i diritti civili dei ricorrenti. Perché in un caso simile si è espressa in modo così netto?
Appunto: i diritti civili, non i diritti umani, ontologicamente fondati. I diritti civili sono quelli rivendicati di volta in volta dalla civitas, dalla polis, dall’opinione corrente della società civile e della politica. Ma oggi il diritto si trova sotto lo scacco del gioco della maggioranza. Per cui se è qualcosa di politicamente corretto, come la richiesta dell’eutanasia o del suicidio assistito, tutto va bene. La tutela della vita evidentemente è invece scorretta, non va di moda. Quindi ci si pronuncia di conseguenza.
Nei giorni scorsi la rivista di giudizio politico dei gesuiti italiani, Aggiornamenti Sociali, ha paragonato alimentazione e idratazione artificiali a trattamento sanitario e come tali rifiutabili in casi limite. Il contrario di quanto il magistero della Chiesa ha fin qui sempre insegnato. Che giudizio dà della svolta?
Sono totalmente in disaccordo con Aggiornamenti Sociali. Non capisco. Non solo non comprendo: per me quel giudizio è davvero un mistero. Non so che pensare. Mi viene in mente la battuta popolare secondo la quale “nemmeno il Padreterno sa cosa pensino davvero i gesuiti”.
Intanto la Pontificia accademia per la vita ha rinnovato Statuto e accademici. Un nuovo corso che fa discutere. Lei che ne pensa?
Alcune delle scelte fatte mi lasciano perplesso. A cominciare da Nigel Biggar (favorevole all’aborto fino a 18 settimane, ndr), ma non solo. Anche l’avere cancellato il giuramento previsto da Giovanni Paolo II che impegnava i membri a difendere la vita resta un punto problematico.
Un autorevole osservatore di questioni vaticane, Austen Ivereigh, commentando le nuove nomine all’Accademia alla luce del coro di critiche che ne è seguito ha scritto che il dibattito dimostra proprio come il ricambio fosse necessario per fare uscire l’Accademia dai recinti di una “enclave dell’ideologicamente puro”…
Non ho letto quell’articolo. Però vorrei precisare che non sto sostenendo che coinvolgere accademici non cattolici come è stato fatto sia sbagliato. Il contrario: la difesa della vita non è “ideologicamente” questione cattolica. Riguarda tutti. Il punto è che a mio parere sono stati scelti alcuni accademici che non offrono garanzie. Diversi membri hanno profili controversi. Spero mi sia concesso affermarlo, come si diceva alla don Milani: da figlio obbediente della Chiesa, che obbedisce in piedi.
I principi non negoziabili non sembrano più molto richiamati nell’agenda ecclesiale…
No, aspetti: ho in mente parecchie dichiarazioni di Papa Francesco durissime contro l’aborto e a tutela della vita in ogni sua fase. Il magistero è chiarissimo.
Il riferimento non era al Papa ma ad alcune narrazioni ecclesiali…
Effettivamente un certo disorientamento in qualche parte c’è. Qualche sbandamento, anche. Sì: vediamo che in certi settori della Chiesa si insinua una corrente che si schiera dalla parte delle categorie politiche o sociologiche più diffuse. Forse addirittura segue le mode. Però attenzione: le mode cambiano vorticosamente e quando le si raggiunge hanno già cambiato direzione. Le faccio un esempio.
Prego.
Mentre in Italia discutiamo di testamento biologico come conquista civile e Aggiornamenti Sociali dà un giudizio positivo sulla legge al vaglio del Parlamento, già tutta la discussione è diventata arretrata.
Forse perché si doveva legiferare prima e si è in ritardo?
Direi che l’inattualità l’ha documentata l’autorevolissima rivista statunitense New England Journal of Medicine, dove gli studiosi dell’Università di Pennsylvania propongono di ripensare il concetto stesso di “testamento biologico”, sottraendo la materia all’ambito legale, per riportarla nel contesto clinico. Il titolo dell’articolo contiene un chiaro invito e un programma: “Delegalizzare le direttive anticipate di trattamento – Facilitare la pianificazione delle cure”. Come ho scritto per Avvenire: “Quarantuno anni dopo l’approvazione in California della prima legge sul testamento biologico, gli autori sostengono che le formalità legali che avvolgono le Dat creano problemi. I temi del dibattito in corso negli Usa sono stati in qualche modo oggetto della discussione della legge alla Camera. Gli appelli a riportare il processo decisionale alla clinica, ai suoi concetti di appropriatezza e proporzionalità delle cure, non hanno, tuttavia, trovato ascolto, fino al paradosso di definire l’idratazione e nutrizione come terapie, indipendentemente dal loro significato nello specifico paziente. Il Senato potrebbe rimediare. Almeno eviteremmo la figura dei provinciali che rincorrono l’orologio delle mode”. Quando invece, come ci ricorda il motto dei certosini, “Stat Crux dum volvitur orbis”, “la Croce resta fissa mentre il mondo ruota”.