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Hackathon, la sfida dell’innovazione

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Il caldo di questo fine giugno, in una Roma sempre meno attrattiva sul piano delle iniziative innovative (e purtroppo non solo quelle), non ha impedito nè spento l’entusiasmo delle ragazze e dei ragazzi (per lo più informatici o studenti di informatica di varie nazionalità e città italiane) che dal 23 al 25 giugno scorso si sono ritrovati presso il Talent Garden Poste Italiane a Roma, lo spazio di coworking della capitale, per l’unica tappa italiana dell’Hackathon globale che ha avuto al centro di questa edizione l’Intelligenza artificiale (Ai).

L’evento promosso da Hackathon.com e portato a Roma dall’organizzatore locale Aldo Pergjergji insieme a MindSharing.tech, Logica Informatica Srl, Fingerlinks Srl e Catchy Srl, il Global Ai Hackathon Roma è stato supportato da Talent Garden, Redbull, Nastro Azzurro, Alkemy Lab, Joule 4.0 e Subcom. L’evento si è svolto contemporaneamente in altre 15 città di 10 diversi Paesi nel mondo. Una maratona durata 48 ore che ha visto i giovani sviluppatori darsi battaglia su tre sfide generali lanciate da Hackathon.com. Tutte ruotavano intorno allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale con l’obiettivo di unire appassionati di Ai, appunto, ma anche di Deep Learning, Bot, Machine Learning e Natural Networks, per risolvere alcuni problemi che riguardano il lavoro d’ufficio ma anche l’analisi predittiva delle emozioni o il riconoscimento delle fake news, tema quest’ultimo che l’attualità politica, italiana ed internazionale, ha messo al centro del dibattito, strettamente connesso, sulla “post verità” quale arma di persuasione e propaganda.

Devo dire che il fatto di essere chiamato a far parte della giuria delll’Hackathon sull’Intelligenza artificiale mi ha sulle prime un po’ sorpreso. D’altra parte l’invito aveva una sua logica, una logica che in certo senso si può definire di testimonianza. Come addetto stampa della Fim ho infatti seguito da vicino il lavoro di elaborazione culturale che in questi anni il sindacato dei metalmeccanici della Cisl ha svolto sui temi dell’innovazione tecnologica e sui cambiamenti apportati dalla rivoluzione digitale al mondo del lavoro. La Fim è stato il primo sindacato in Italia ad occuparsi di Industry4.0 quando nessuno ne parlava, ma anche il primo, con il suo segretario generale Marco Bentivogli, a prendere posizione contro la proposta della Robotax; questo dopo che le parole di Bill Gates hanno innescato un dibattito surreale da parte dei media italiani, ai quali evidentemente sfugge che molte delle aziende italiane che in questi anni hanno resistito alla crisi lo hanno fatto grazie ad investimenti in tecnologia ed all’ innovazione dell’organizzazione del lavoro, come testimoniano i casi di reshoring in FCA e Whirlpool.

Evidentemente questo lavoro non è passato inosservato nel mondo del digitale, che ha visto nella Fim un sindacato moderno capace di conciliare la tutela dei lavoratori con la sostenibilità e flessibilità delle imprese sugli obiettivi. A suscitare interesse è stato anche il modo innovativo con cui la Fim ha orientato la sua comunicazione sui social media e sulla rete, facendo da apripista ad un cambiamento del modo di comunicare del sindacato in Italia.

Inquadrato in questo modo, quell’invito allora sorprende un po’ meno. Ma che cos’è un hackathon? Forse non molti lo sanno, specie se non si appartiene alla generazione dei Millennials o se si ha poco a che fare con il mondo digitale. Hackaton è un termine composto che – come riporta Wikipedia – nasce da due parole: hack e marathon. È in sostanza una gara tra sviluppatori, designers e makers della durata di 24/32/48 ore, ma è anche un’ occasione per scambiarsi informazioni, lavorare in gruppo e mettere alla prova le proprie capacità affinandole con la pratica e per imparare nuove tecnologie migliorando le proprie abilità.

A Roma si sono ritrovati oltre 50 sviluppatori, in media sui vent’anni, ragazze e ragazzi provenienti da tutto il mondo. Italiani certo, ma anche tedeschi, indiani, pakistani… Si sono sfidati su tre challenge che avevano tutte al centro la risoluzione di problemi attraverso l’uso dell’Intelligenza artificiale. La prima sfida riguardava il miglioramento del lavoro d’ufficio; la seconda il riconoscimento delle emozioni attraverso l’analisi delle espressioni del viso e i possibili utilizzi in chiave predittiva comportamentale; la terza il riconoscimento delle fake news.

Tutti temi che hanno ricadute pratiche sulla vita di ognuno. Per la verità è stato difficile giudicare quali delle nove squadre che si sfidavano fossero le migliori. I lavori presentati con tanto di demo si sono rivelati tutti molto interessanti, e anche quelli che non hanno vinto hanno saputo suscitare interesse per la loro originalità. Come il lavoro presentato dal dal “Gruppo Aida”, che ha lavorato su un sistema che attraverso l’AI organizza e mette in ordine i file dei desk di decine di Pc – ad esempio di un’azienda – su un server condiviso. O quello del “Gruppo Tina”, che ha elaborato un “assistente digitale” per non vedenti.

Alla fine tra tanti challenger l’ha spuntata il “gruppo Gaia”, con un interessante lavoro sulle chat-bot, il “gruppo Metricstool”, con un programma di riconoscimento delle fake news in rete, e il gruppo Friggers, con un programma di riconoscimento dello stato emotivo di una platea attraverso l’analisi facciale in tempo reale delle persone.

I progetti, ovviamente, sono stati valutati oltre che per la presentazione, l’innovatività, anche per il loro potenziale sviluppo applicativo, dunque oltre l’esercizio “stilistico” del coding della 48 ore dell’Hackathon. Molti di loro possono avere interessanti ricadute in termini di miglioramento della produttività delle imprese, ma anche della lotta alla criminalità, come i progetti legati all’analisi predittiva delle emozioni e alla salvaguardia della democrazia e del giornalismo del futuro, come quelli sulle fake news.

Credo che sia utile raccontare questa esperienza perché il nostro Paese, nonostante l’immagine che spesso da di sé, ha ancora molte energie giovani sulle quali poter contare e investire. All’hackaton di Roma ho visto ragazze e ragazzi giovani pieni di entusiasmo con la voglia di lavorare e divertirsi. Tutto il contrario di quella retorica di retroguardia che immagina un futuro in cui solo il 10% delle persone lavorerà mentre il 90% vivrà di sussidi. Ho parlato con giovani che hanno voglia di fare progetti, ragazzi che pensano che il sindacato non solo serva, ma sia indispensabile, purché si sintonizzi sui cambiamenti della società. Sono giovani che pensano ad un lavoro non legato a posti fissi o spazi definiti, che amano scambiarsi idee e mescolare competenze. È da loro che arriverà il lavoro del futuro e i lavori che ancora non conosciamo, o non sappiamo catalogare dentro le categorie del lavoro del secolo scorso. Anche perché in molti casi sono più avanti nella conoscenza rispetto alle università dove si sono laureati.


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