L’articolo di Simone Lo Nostro, Direttore Mercato & ICT Sorgenia, è tratto dal numero di giugno della rivista Formiche
A giudicare dal fermento che avvolge l’Industria 4.0, si potrebbe pensare che qualcosa di straordinario sia capitato negli ultimi tempi e abbia rivoluzionato le dinamiche della nostra società in modo improvviso e inaspettato. In realtà, Industria 4.0 non è altro che una tappa di un percorso, ormai noto come digitalizzazione, lungo quanto l’evoluzione umana, che ha portato la nostra conoscenza dalla pietra e dal fuoco alla trasformazione in segnali delle informazioni che ci circondano.
Ben presto arriverà la sua versione 5.0, 6.0, 7.0, 8.0, similmente a quanto capita per le sigle degli smartphone. Prima di quella 4.0, si possono facilmente identificare, infatti, almeno altre tre versioni dell’industria: 1.0, nata nel XVIII secolo da un crescente uso della forza vapore e dallo sviluppo di macchine e strumenti; Industria 2.0, legata a elettricità e produzione di massa, collocabile nel XIX secolo e Industria 3.0, quella dell’automazione e, in particolare, dell’elettronica e dell’informatica, datata XX secolo. Ma, nonostante sia affascinante crederlo, la storia del nostro progresso non è fatta di momenti discreti o di clamorose e isolate discontinuità, ma di un continuo lavorare delle nostre menti per migliorare la realtà in cui viviamo, di teorie che nascono, vengono studiate, perfezionate, completate e poi applicate (pensiamo ad esempio alla rivoluzione iniziata dalle tesi di Copernico, sviluppata e raffinata dal pensiero di Keplero e Galilei e poi sublimata nell’opera di Newton). Fin dalle origini, studiamo per guarire dalle malattie, per costruire case più solide, per spostarci in tempi minori coprendo spazi sempre più ampi, per comunicare e, ovviamente, anche per provare ad avere di che vivere minimizzando le nostre energie. Cosa che, per altro, pare essere un problema molto sentito dall’uomo fin dai tempi dei tempi, come dimostra il fatto che, perfino nella Bibbia, una delle terribili punizioni che viene inflitta ad Adamo è rappresentata dal fatto che “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane”.
Questa continua evoluzione verso una produzione caratterizzata da maggiori risultati con minor sforzo fisico e mentale ha fatto sì che, nei secoli, molte attività manuali fossero progressivamente sostituite dalle macchine lungo un percorso che è stato scandito dalle conoscenze dell’uomo e dalle priorità che lo stesso ha avuto, e che oggi ci consente di parlare di big data, IoT, realtà aumentata, ecc. Già, realtà aumentata, ma neanche tantissimo, se ad esempio la confrontiamo con ciò che immaginava Kubrick nel ’68 nel celebre 2001: Odissea nello spazio, né tanto meno con quella che Spielberg si è immaginato per il 2054 quando nel 2002 ha girato Minority Report.
Oggi, nella nostra industria, abbiamo ancora alte percentuali di manualità, lavoratori che muoiono lavorando (una piaga terribile della nostra società) e aziende che, pur disponendo di un’immagine più nitida di ciò che sono e di ciò vogliono i propri clienti rispetto a vent’anni fa, sono ancora ben lungi dall’essere attendibili al 100%: hardware e software fanno molto, ma vanno ancora seguiti, corretti e integrati dall’uomo.
L’Industria 4.0 è un passo ulteriore di avvicinamento verso l’eliminazione di una serie di inefficienze e rischi che ancora riscontriamo sia nelle nostre esistenze lavorative, sia in quelle personali. Fin quando ci saranno persone che muoiono lavorando, guidando o persone che non possono camminare, vedere, sentire, il progresso dell’industria e della tecnologia non sarà mai abbastanza veloce, né potrà mai essere messo in discussione dall’etica. Ciò può avere impatto sul mercato del lavoro. Si tratta di assestamenti naturali e fanno parte della nostra storia. Cambieranno i mestieri, le professioni, le competenze e le abitudini, così come è sempre stato e sempre sarà.
Senza dubbio potrà esserci un impatto sociale, che dovrà essere affrontato con responsabilità da tutti gli attori in campo, ma in massima parte dallo Stato, visto che le aziende, quando fanno più utili, contribuiscono già automaticamente alla crescita del benessere del loro contesto, anche attraverso un maggiore versamento fiscale. Industria 4.0 è, in definitiva, sinonimo di futuro e come tale deve essere accolta con entusiasmo. Il futuro, infatti, oltre a essere inevitabile, è e deve essere sempre sinonimo di speranza, di miglioramento e di crescita perché, come diceva Eleanor Roosevelt “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”.