Come “Un grande patriota europeo”, descrivevano unanimemente i media tedeschi ieri Helmut Kohl, alla notizia della sua morte a 86 anni. E ancora, come “L’uomo della riunificazione della Germania”. Due momenti storici che hanno segnato il destino del suo paese e il destino dell’Europa. In un commento della Süddeutsche Zeitung si legge: “C’è una triade di grandi cancellieri federali: Adenauer, Brandt, Kohl. Konrad Adenauer, l’uomo del 19esimo secolo, incarna la ricostruzione e l’integrazione del paese di nuovo nella comunità degli stati dell’Occidente; il socialdemocratico Willy Brandt, l’emigrante e oppositore del Terzo Reich, è stato il cancelliere della liberalizzazione della società e della Ostpolitik; a Kohl, l’uomo segnato dalla guerra, dobbiamo la riunificazione e e il saldo ancoraggio della Germania in un’Europa unita”. Il sogno di Kohl è sempre stato, prosegue l’articolo, di abbattere le frontiera intrise di sangue del vecchio continente. Un sogno scaturito non solo dal trauma della seconda guerra mondiale, ma anche dalla storia di questo continente, una storia che lo mostra dilaniato al suo interno. Kohl stesso proveniva da una regione, la Pfalz, che al pari delle Fiandre e dell’Artois è stata ripetutamente devastata dalle guerre. L’esperienza personale e i suoi studi, era laureato in storia, avevano fatto sì che la pacificazione tra Germania e Francia fosse uno dei Leitmotive della sua politica estera.
La Frankfurter Allgemeine Zeitung scrive invece: “Non ci sarà mai più un altro politico come Kohl. Con la fine del suo governo finiva anche l’epoca della politica del dopoguerra. Un’epoca caratterizzata da uomini di stato che avevano visto e vissuto in prima persona quel che gli europei erano stati capaci di farsi l’un l’altro. Per questo si erano impegnati anima e corpo a far si che quella storia non si ripetesse mai più. Per questo tutto il loro agire era stato rivolto alla costruzione di un’Europa unita. Kohl voleva un’unificazione della Germania pacifica. E ha saputo realizzarla ancorando contemporaneamente il proprio paese nel processo di integrazione europea. Kohl lascia ai posteri un’eredità straordinaria , che oggi pare però pericolosamente insidiata”.
Kohl, sin da momento della sua nomina a cancelliere nel 1983, quando il socialdemocratico Helmut Schmidt è costretto a cedergli il timone, pone tra le sue priorità il processo di integrazione europeo, che in quel momento pareva essere finito in un vicolo cieco. Soprattutto la Gran Bretagna di Margaret Thatcher non ne vuole più sapere. La premier britannica sarà una delle sue più acerrime oppositrici. Quello che per Kohl è il sogno di una vita, riunificare il paese, è per lei un incubo. La sua frase – “Li [i tedeschi] abbiamo sconfitti due volte e ora eccoli qui di nuovo” – è entrata nei libri di storia. Thatcher non è ovviamente l’unica a mostrarsi diffidente. Anche il presidente francese, il socialista François Mitterand guarda all’indomani della caduta del Muro con sospetto agli sforzi di Kohl in quella direzione. E sì che i due erano uniti non solo da una profonda amicizia personale, ma anche da quella visita insieme, nel 1984, a Verdun, un campo di battaglia divenuto simbolo delle atrocità della prima guerra mondiale.
Ma Kohl negli anni aveva saputo tessere una salda rete di relazioni personali con gli allora “potenti della terra”. E così se Londra e Parigi si mostravano, ognuna a modo suo, scettiche riguardo all’unificazione, il Kanzler aveva dalla sua George Bush senior (d’altro canto, già il predecessore Ronald Reagan, nel corso di una visita a Berlino il 17 giugno del 1987, cioè esattamente 30 anni fa, pronunciava la famosa frase rivolta a Michail Gorbacev “Tear down this wall”, abbatta questo muro) e, come dimostrarono poi i fatti, anche Gorbacev.
Ma che ne è oggi di quell’Europa? Che ne ha fatto Angela Merkel, quell’ex ragazza dell’Est, che deve la propria ascesa politica proprio a lui, il suo mentore della primissima ora. A quel Kohl che se la mise al fianco, che dopo le prime elezioni della Germania unificata la fece ministra, prima dell’Ambiente, poi della Famiglia. Quella ragazza che infine lo scalzò brutalmente in seguito allo scandalo dei fondi neri della CDU, venuto a galla un anno dopo la sconfitta elettorale di Kohl nel 1998. Come si sa, Kohl non ha mai voluto rivelare chi fossero i donatori di quei 2,1 milioni di DM finiti nella casse del partito. E Merkel usò proprio questo rifiuto per dargli il ben servito. Non a voce però, ma attraverso un articolo scritto di suo pugno e pubblicato nel dicembre del 1999 sulla Frankfurter Allgemeine.
Un tradimento che Kohl non le ha mai perdonato, per quanto ultimamente i contatti fossero stati ristabiliti. E certo la commozione di ieri di Angela Merkel, raggiunta dalla notizia della sua morte durante la sua visita a Roma, era senz’ombra di dubbio sincera. Sincero il suo “lasciatemi un po’ di tempo” ai giornalisti che la assediavano con domande. Sincero il suo definirlo “un grande tedesco un grande europeo”.
Lui stesso però non condivideva affatto la politica di Merkel, soprattutto quella europea. Non condivideva la politica della Kanzlerin, all’epoca della crisi economico finanziaria. Tant’è che pur con tutte le difficoltà nel parlare che un ictus gli aveva procurato anni prima, quella frase “Sta distruggendo la mia Unione Europea” riusci a scandirla in modo assolutamente chiaro e comprensibile per tutti.
Quanto lo angosciassero le sorti dell’Unione Europea l’aveva poi scritto nel suo ultimo libro-appello “Aus Sorge um Europa” che parla appunto di quel che lo preoccupa riguardo al destino dell’Ue. Considera le infrazione dei criteri di Maastricht, in primo luogo “una vergogna tedesca” che ha inficiato i rapporti soprattutto con la Francia. E non è vero, ribadisce anche in quel libro, che lui abbia accettato di abbandonare il marco tedesco a favore dell’euro, come contropartita dovuta ai francesi affinché questi acconsentissero alla riunificazione tedesca. Ma soprattutto guarda con preoccupazione alla “stanchezza” che ha assalito tutti i politici europei, mentre secondo lui, un futuro per l’Europa, ci può essere solo se si prosegue nel processo di integrazione.
Non gli sarà più dato vedere cosa ne sarà di questa sua Europa. Come uscirà dalla Brexit, come gestirà il problema profughi, se e come riuscirà a riportare i paesi come Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca a una politica più collaborativa e di solidarietà. D’altro canto, faceva notare ieri un commentatore in un intervista al canale pubblico Ard, non è nemmeno dato sapere, come Kohl avrebbe gestito queste sfide con le quali si sta confrontando l’Ue. Il metro del passato non è necessariamente quello che permette di trovare le soluzioni nel presente.
I politici di oggi non devono combattere contro il trauma della guerra ma contro le disfunzioni della globalizzazione, conflitti che il più delle volte non avvengono su suolo europeo, ma coinvolgono anche l’Ue. Kohl aveva come controparte Bush senior e Gorbaciov e il premier ungherese Miklós Németh che nel maggio del 1989 aprì la frontiera verso l’Austria per far passare i cittadini della DDR. Merkel oggi si confronta con il presidente americano Donald Trump e quello russo Vladimir Putin e il premier ungherese Viktor Orbán che i muri torna è tornato ad alzarli. Allora c’era un’Europa che anelava alla libertà, oggi un’Europa con forti tendenze nazionaliste.