La situazione in UK è diversa da quella che in molti si aspettavano. Theresa May non ha rafforzato la sua maggioranza, Corbyn ha portato il Labour a un risultato inaspettato e recuperato milioni di voti. Quali saranno gli effetti di tutto questo? Ne ho parlato con Domenico Cerabona Ferrari, direttore della Fondazione Amendola di Torino e autore di un libro su Jeremy Corbyn e sulla Brexit, entrambi per Castelvecchi.
Dott. Cerabona, può dirci in prima battuta se si immaginava un risultato in percentuale così importante per il Labour Party?
Sinceramente no. Ero convinto che i sondaggi sovrastimassero, come al solito, i laburisti. Avevo previsto un 42 ai conservatori (e ci ho preso) e un 35 ai laburisti. Questo perché di solito nei sondaggi è presente una quota di voto giovanile che però poi nelle urne non viene espresso. Questa volta invece, pare, i giovani si sono recati in massa a votare contro la May, ecco dunque che i sondaggi – soprattutto quelli di YouGov – erano azzeccati, persino un po’ timidi per quanto riguarda il Labour.
Alcuni commentatori stanno già cercando di ridimensionare il risultato del Labour. Dicono che il 40% dei voti non conta, perché è poi l’assegnazione dei seggi a determinare le maggioranze. Come la vede?
Beh, anche da questo punto di vista il risultato è stato un successo. Per la prima volta in dieci anni il Labour guadagna seggi invece di perderne, alcuni addirittura che non aveva mai conquistato nella sua storia. Inoltre la May ha perso la sua maggioranza ed è costretta da una improbabile alleanza con la destra estrema Nord Irlandese per avere comunque una manciata di voti di maggioranza. Insomma un’ottima prestazione del Labour, che che se ne dica.
Nel 2015 Renzi aveva dichiarato che il Labour con Corbyn avrebbe perso. Oggi, ironia della sorte, il mantra del 40% lo ha raggunto un signore che dal 1983 è deputato e che è espressione, mi corregga se sbaglio, dell’area più tradizionale del Labour. Un uomo di sinistra insomma.
Sì Labour è un “bennite” cioè un esponente della corrente che faceva capo a Tony Benn, storico dirigente della sinitra socialista del Labour. Corbyn è sempre stato in quella corrente minoritaria, anche e soprattutto negli anni del blairismo. Oggi si ritrova leader ormai indiscusso del partito con un risultati inaspettato e un grande consenso personale tra iscritti e militanti del Labour.
Parliamo ora invece della Brexit: Theresa May sembra intenzionata a restare in sella. Farà un accordo con il partito del Nord-Irlanda, ma la sua sarà appunto una maggioranza debole. Cosa può accadere con i negoziati per la Brexit?
La May ha perso clamorosamente la sua scommessa. Era convinta di ottenere una grande vittoria e arrivare fortissima al tavolo delle trattative con i membri dell’Unione Europea. Arriverà a quel tavolo da leader azzoppato da una clamorosa sconfitta elettorale e con la spada di Damocle della sfiducia del suo Partito. Il peggiore dei modi per affrontare la trattativa più complicata della storia della Gran Bretagna, in tempo di pace, si intende. Ad ogni modo ne esce indebolita anche l’idea di una hard Brexit e cioè quella che prende in considerazione anche l’eventualità di un’uscita unilaterale: la May diceva che “a no deal is better then a bad deal”. Corbyn ha risposto “No deal it is a bad deal”. E pare abbia avuto ragione.
Ultima domanda, quale è la lezione che la sinistra o il centro-sinistra può imparare da queste elezioni in UK? Se una lezione da imparare c’è?
La lezione è che servono i grandi partiti organizzati, pronti a dare battaglia nel Paese in maniera diffusa. La ripolarizzazione del panorama britannico ci riconsegna un riaffermarsi dello schema destra-sinistra, soprattutto grazie alla chiarezza programmatica del Labour e di Corbyn che si sono battuti su un Manifesto elettorale pienamente socialista/socialdemocratico. Inoltre ci insegna, secondo me, quanto sia importante dare battaglie anche di minoranza, anche se isolati, anche se lunghe. Perché non si sa mai, alla fine magari ti trovi leader del Partito…