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La ricetta dei manager della Cida contro la crisi della rappresentanza

irpef, cida,

Ben vengano leggi sulla rappresentanza che consentano finalmente di avere certezze su ‘chi rappresenta chi’; numeri certi che, a ben guardare, servono sia sul fronte sindacale, sia su quello delle imprese. Ma non sarà certo una legge a far diventare “rappresentativo” chi non lo è. Le “patenti” di rappresentatività servono a poco se non si hanno idee, non si avanzano proposte, non si mettono in campo buone pratiche e azioni politiche aggreganti.

Il ragionamento che abbiamo fatto e che facciamo noi di Cida è sfidante ed ambizioso: la Confederazione dei dirigenti pubblici e privati, quadri e alte professionalità, conta su 150mila manager che operano nell’industria, nella pubblica amministrazione, nella scuola, nella sanità. Ma noi guardiamo, in realtà, agli oltre 750mila manager attivi del Paese che non hanno alcun tipo di rappresentanza, oppure che è polverizzata in migliaia di sigle. Guardiamo loro non come tanti “numeretti” utili a rimpolpare le nostre fila, ma come parte fondamentale di quella ‘classe dirigente’ del Paese che Cida rappresenta e vuole rappresentare.

La crisi della rappresentanza che sta colpendo i corpi sociali intermedi non si supera solo sperando in nuove leggi. Ma con coraggiose prese di posizione che testimonino la coerenza delle decisioni e portino un messaggio forte a tutta la categoria, non soltanto ai propri iscritti.

Dunque Cida vuole parlare alla borghesia produttiva di questo Paese, non limitarsi a difendere interessi di categoria (compito che pur svolge con un certo successo). Il ‘mezzo’ individuato per lanciare questo messaggio è un ‘manifesto’ di politica economica sul quale chiediamo un confronto con il Governo.

Un documento che supera le legittime rivendicazioni della categoria per diventare piattaforma programmatica di una serie di interventi in grado di rimettere il Paese in linea con gli altri partners europei. Fisco, scuola, lavoro, Mezzogiorno, welfare: il nostro ‘manifesto’ tocca tutti questi punti e formula idee originali e proposte concrete. Vogliamo incalzare il governo su questi temi e ci rivolgiamo alle élites sociali e professionali perché si costituisca un blocco sociale coeso nell’impegno alla ricostruzione del Paese. Uno sforzo di orgoglio in grado, anche, di contagiare una classe politica indifferente, distratta rispetto all’aggressività economica di altri Paesi.

Non si tratta di una vetero-difesa della nazionalità dell’industria, ma del sacrosanto rispetto del principio di reciprocità. Noi proponiamo queste idee e questo progetto e lo facciamo forti dei valori non negoziabili ed ‘aggreganti’ della professionalità, dell’etica, del riconoscimento del merito. Su questo terreno ci giochiamo la nostra rappresentatività.


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