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Educazione di genere a scuola, cosa fare?

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Un appello alla ministra Fedeli: vigili sulla frenesia ignorante dell’educazione di genere nelle scuole e nelle università. Negli ultimi giorni sono emersi due fatti significativi sulla presunzione di saper affrontare e purtroppo malamente ciò che è previsto nel testo della legge 13 luglio 2015, n.107, il termine genere compare solo all’articolo 16: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità dei sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Vale a dire contrastare le discriminazioni, il bullismo e le violenze di genere, affrontando con cognizione e magari insieme ai genitori nelle scuole, aspetti sull’educazione e la cultura delle future generazioni.

L’insegnamento a scuola del diritto alle pari opportunità, e un’educazione di genere che significa diversità di razza, lingua, classe sociale, ovviamente anche sesso: bisognerebbe sapere che a livello europeo quando si parla di questo tema, si intende la disparità che ancora esiste tra uomini e donne nell’accesso alla sanità, all’educazione, al mondo del lavoro, a una retribuzione paritaria, alla rappresentanza politica e istituzionale e ovviamente anche di sesso. Non ha senso dunque introdurre una nuova modalità di pensiero del genere, della sessualità, del corpo e del linguaggio. Cercare di affermare con delle azioni scomposte, parafrasando una scrittrice americana, che “il sesso non è una causa originaria, per cui vale la regola nel dire che se si è di un sesso non lo si è di un altro, ma va inteso come effetto di un processo storico in cui l’identità si costruisce” diventa una forzatura che consumata tra i banchi di scuola affronta in modo violento la tradizionale accezione della questione di genere strumentalizzando l’omofobia come primo elemento di disparità.

Vero è che il Global Gender Gap Index stilato ogni anno dal World Economic Forum, pone in questa classifica di circa 130 Paesi, l’Italia attorno al 70esimo posto. Questo sicuramente vuol dire che siamo ancora lontani dai Paesi che offrono reali pari opportunità a uomini e donne, come peraltro prevede la nostra Costituzione. Ma questi sono i temi da affrontare nelle scuole e nelle università, perché questa è la questione da affrontare e da insegnare: parità di accesso all’istruzione, al lavoro, rispetto della sessualità rifiutando ogni violenza su ogni persona. Non solo per una giustizia morale, ma perché il nostro Paese senza pari opportunità (con un’occupazione femminile attorno al 47% e una disoccupazione giovanile dell’11%) ha due motori in meno di crescita. E pur tuttavia nelle scuole si affronta e con tanta insipienza la “teoria gender”.

E corrisponde al vero l’episodio di Torino dove un questionario somministrato a giovani di 15 anni affrontava la questione della omosessualità con domande molto violente attraverso un progetto oltretutto finanziato con risorse pubbliche e intitolato alla matematica; e ancora a Bologna all’Università sono state le studentesse e gli studenti che hanno rifiutato le denominazioni “gender sensitive” di cariche istituzionali al femminile piuttosto che maschile come sono tradizionalmente conosciute. Dunque si concretizza strada facendo, quel fai da te tutto italiano di una istruzione deformata sul gender strumentalizzata che si è segnalata come rischiosa. Genitori e insegnanti che temevano una discrezionalità eccessiva dei fanatici del gender, allora tacciati come terroristi psicologici, calunniatori, ora hanno avuto ragione di dubitare.

La scuola non deve trasmettere nessuna imposizione di orientamenti sessuali. La scuola deve semplicemente educare al rispetto attraverso la conoscenza del diritto e dei diritti della persona, in ottemperanza delle leggi e delle convenzioni internazionali, anche attraverso l’educazione alle pari opportunità e alla conoscenza consapevole dei diritti e dei doveri delle persone come base e premessa per prevenire e contrastare ogni tipo di discriminazione che poi degenera in violenza. Il ministro Fedeli lo spieghi con chiarezza alle scuole, alle università e alle famiglie con documenti ufficiali così da fermare la discrezionalità demagogica degli ignoranti. 


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