L’offensiva per liberare Mosul dalla presenza dello Stato islamico ha raggiunto ieri un risultato simbolico quanto nefasto. Alle 21:35 ora locale, quando le forze antiterrorismo del governo iracheno erano ormai a 50 metri dalla famosa moschea al Nuri, quella in cui il 4 luglio 2014 Abu Bakr al Baghdadi si proclamò califfo di tutti i musulmani, i jihadisti hanno fatto saltare in aria il monumento, compreso il minareto Hadba noto a tutti gli iracheni come “il gobbo” per la sua caratteristica pendenza.
Un gesto disperato ma voluto – anche se l’Isis via Amaq fa sapere che la responsabilità andrebbe attribuita a un bombardamento alleato – motivato tanto dalla notoria smania distruttiva dei jihadisti quanto dalla volontà di impedire alle ormai vittoriose forze governative il piacere di innalzare la bandiera irachena sulla cima della moschea e ai soldati di scattarsi selfie celebrativi.
L’orrido crimine dello Stato islamico, che ha costernato gli iracheni abituati a vedere la silhouette della moschea nelle loro banconote, sancisce comunque un momento topico della battaglia per Mosul. La resistenza dei tagliagole era ed è ormai al lumicino: si stima che a combattere siano rimasti poco più di 300 miliziani, contro i 6mila dell’inizio dell’offensiva lo scorso ottobre. Le forze della controparte hanno invece una superiorità schiacciante, limitata fino ad ora solo dalla difficoltà di combattere in un centro storico composto da strade strette e cortili e di fare fronte alle tattiche spregiudicate dei jihadisti, decisi a difendere la roccaforte con spregiudicate tattiche di guerriglia.
La conquista della moschea era sicuramente questione di giorni. I comandi iracheni avevano annunciato domenica un’intensificazione dei combattimenti proprio con l’obiettivo di conquistare il monumento entro l’Eid al Fitr, il giorno della fine del Ramadan previsto tra il 25 e il 26 giugno. I governativi sapevano comunque che la moschea era stata minata da tempo, e che dentro di essa vi si erano rifugiati numerosi civili, nel tentativo di sfuggire alla brutalità dei combattimenti. Facendola saltare in aria, i jihadisti aggiungono dunque un altro delitto alla lista di nefandezze accumulate in questi anni di guerra.
Caduta al Nuri, la liberazione dell’intera città è ormai questione di giorni.
Dopo i quali scatterà una nuova fase della guerra contro lo Stato islamico, quella dedicata alla liberazione delle zone del Paese ancora infestate dalla presenza dei tagliagole. Sarà un compito difficile, perché i jihadisti – incluso il loro ineffabile capo – sono ormai sparpagliati nelle zone desertiche a nord e a ovest di Mosul, verso il confine con la Siria, dove possono mettere in campo le tattiche rodate ai tempi dell’occupazione americana per destabilizzare il Paese.
Vi è poi la Siria, dove si concentra gran parte delle forze residue del califfato ed è cominciata due settimane fa l’offensiva per liberare la capitale dello Stato islamico, Raqqa, condotta dalla Forze democratiche siriane (Sdf) sostenute dall’artiglieria e da elicotteri americani.
Rispetto a Mosul, le operazioni per liberare Raqqa saranno più semplici, date le minori dimensioni del centro abitato e il già cominciato esodo dei miliziani dell’Is verso le zone desertiche a sudest. Mondare l’intera Siria dalla presenza delle bandiere nere non sarà però un compito lieve, perché a contendersi l’onore sono presenti sul campo sia le forze curdo-arabe alleate degli americane sia le truppe di Damasco e le milizie alleate sciite di Iran, Libano e Iraq sostenute dall’aviazione russa.
In queste ultime settimane non sono stati pochi i problemi di convivenza di queste formazioni contrapposte. Domenica un jet americano ha abbattuto un aereo siriano che aveva effettuato un bombardamento vicino alle postazioni Sdf, e gli Usa hanno abbattuto droni siriani avvicinatisi troppo a quelle che gli Usa considerano “deconfliction zones”. I comandi americani hanno fatto già sapere che si riservano di esercitare il diritto di autodifesa ogni volta che gli avversari faranno mosse azzardate. Dal canto loro, i russi hanno minacciato dopo l’abbattimento del jet siriano da parte americana che ogni velivolo che entrerà nella fascia aerea a ovest dell’Eufrate sarà considerato un obiettivo.
Tutto ciò fa capire che la fine del califfato non segnerà la fine dell’incubo, perché ad essa seguirà una nuova, delicata fase: quella per il controllo della porzione di Siria liberata dai jihadisti. Una fase che potrebbe rivelarsi quanto mai ostica visti gli interessi in competizione.