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Mps, Carige, Ubi e non solo. Come smaltire i crediti deteriorati

Come risolvere il problema dei crediti deteriorati? Come uscire da una situazione che rischia di impantanare soprattutto le realtà più deboli del sistema bancario italiano? Una soluzione tenta di darla First Cisl, tra i maggiori sindacati del settore bancario e assicurativo, che ha presentato una sua proposta per la gestione in-house degli Npl. Dopo un primo debutto al congresso First Lazio il 3 aprile scorso, ieri al Teatro Eliseo di Roma il vero “ingresso in società” alla presenza tra gli altri del sottosegretario al ministero dell’Economia e Finanze, Pier Paolo Baretta, del capo della Vigilanza di Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, del direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, e dell’amministratore delegato di Banca Carige, Guido Bastianini. A fare gli onori di casa, il segretario generale First Cisl, Giulio Romani.

LA PROPOSTA FIRST CISL

La proposta punta a far uscire dallo stallo con la creazione di una società veicolo che gestisca i non performing loans (npl) di banche o di gruppi bancari affini per dimensione e territorialità. Le risorse finanziarie per acquistare gli npl arriverebbero da fondazioni, altri istituti di credito, associazioni di impresa e dagli stessi lavoratori di quelle realtà da “salvare” dai crediti deteriorati grazie a un contributo del 5% della retribuzione. Il coinvolgimento dei dipendenti peraltro avverrebbe anche con prestazioni di lavoro nel servicer a supporto della cartolarizzazione costituito nella banca che cede gli npl. “In questo modo i lavoratori danno il loro contributo e in cambio potrebbero ricevere un warrant convertibile in capitale diventando azionisti oppure beneficiare del recupero di valore” spiega Romani secondo cui si tratta di un investimento non troppo rischioso: “Storicamente in dieci anni la gestione dei crediti permette di tornare al valore di libro”. Il segretario generale First Cisl cita l’esempio della Popolare di Vicenza dove “su un miliardo di investimento i lavoratori metterebbero 200 milioni. Si tratta di una proposta che abbiamo verificato in Banca d’Italia e proposto alle associazioni imprenditoriali sul territorio”.

GLI INTERVENTI DEI RELATORI

Per Baretta “i crediti deteriorati possono essere un’opportunità e non solo una fregatura”. Occorre dunque “invertire una tendenza in un quadro che resta statico”. “Il sistema bancario italiano – spiega – va considerato e portato a condizione di normalità”.

Nella gestione del problema npl si rivela “cruciale” il taglio dei tempi di recupero fallimentari ed esecutivi da parte della giustizia secondo Barbagallo che ricorda le lungaggini italiane: “Nel nostro Paese i tempi di recupero sono di otto anni, il doppio della media europea”, più alti non solo di quelli che si registrano “in Francia o in Germania ma anche a Malta e a Cipro”. Il capo della Vigilanza di via Nazionale fa due conti: “Se avessimo tempi della giustizia civile simili a quelli europei” i nostri istituti “meno deboli” presenterebbero un rapporto tra crediti anomali e impieghi fra il 7 e l’8%, non lontano da quello medio in Ue. Barbagallo mette in guardia poi dai soggetti cui vengono ceduti gli npl che “sono preda dei fondi avvoltoio” internazionali: i prezzi di cessione sono infatti “straordinariamente bassi”. Per questo ben vengano tutti gli strumenti disponibili per risolvere la questione, inclusa la gestione interna che consente – oltre alla cessione – anche un recupero di valore. Per questa strada però, avverte, “occorre tempo”. Infine, un richiamo ai dati sugli npl spesso di “scarsa qualità”: sulla questione “la Banca d’Italia sta lavorando”.

Getta acqua sul fuoco Sabatini secondo cui quello dei crediti deteriorati è “un problema che esiste ma che è assolutamente gestibile” ed è pure “un’opportunità per migliorare la redditività” degli istituti e per “passare a una gestione proattiva degli attivi”. Di sicuro, è l’invito che arriva da Palazzo Altieri, le banche sono chiamate a effettuare non solo “la cessione a saldo” ma anche una gestione interna degli npl. “L’importante è che le banche abbiano una loro strategia chiara” che inglobi diversi strumenti e che contemperi sia la cessione sia la gestione come indica pure la Bce nelle ultime linee guida presentate.

LE BANCHE VENETE

Qualche parola poi sul grande malato del sistema bancario italiano, ossia Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Baretta non ha dubbi sul fatto che il loro fallimento provocherebbe una “crisi sistemica” con conseguenti danni non solo all’area di origine – “una delle più industrializzate” del Paese e “innovative” in Europa – ma più in generale sull’andamento dell’economia italiana. Via XX Settembre però non ha alcuna intenzione di procedere senza Bruxelles. Dunque non c’è alle viste alcuna “ricapitalizzazione precauzionale” con fondi pubblici senza prima aver ottenuto il via libera da parte dell’Unione europea. Allo stesso modo l’Italia è contraria all’applicazione del bail in perché causerebbe troppi danni al sistema e all’intera economia. “Siamo fermamente convinti – precisa Baretta – che le venete possano essere salvate e rilanciate”. Di sicuro, però, “in questo momento tutti devono dimostrare di crederci” e “l’atteggiamento restio” degli imprenditori locali non convince, anzi “lascia da pensare”. Non è accaduto così invece, ricorda il sottosegretario, per Carife, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti dove il 70% dei risparmiatori dei quattro istituti di credito ha aderito ai rimborsi.


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