Si dice handicappato? Disabile o diversamente abile? Il tema di istituire una “carta deontologica delle Prm (persone a ridotta mobilità) è stato al centro del seminario promosso dall’associazione Fiaba, Fondo Italiano per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Con questa proposta FIABA intende sottolineare la necessità di rivedere la deontologia giornalistica sul tema della disabilità per evitare che vengano usate perifrasi denigratorie come “menomato”, “handicappato” oppure “costretto sulla sedia a rotelle”.
“La sedia per una persona con disabilità è un facilitatore, uno strumento di liberazione. È davvero cinico tentare di suscitare pietà attraverso questo strumento”, si è spiegato nel corso dell’incontro. Il promotore dell’iniziativa è Nicola Stacchietti, dell’ufficio stampa di Fiaba che, nel corso del suo intervento, ha spiegato come il “Testo Unico”, una sorta di compendio delle carte deontologiche fin qui esistenti, non sia ancora aggiornato sul tema della disabilità. L’articolo 6, infatti, recita: “Il giornalista rispetta i diritti e la dignità delle persone malate o con disabilità siano esse portatrici di menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali”. Il termine “menomazioni”, in questo contesto, risulta discriminatorio come ormai lo è diventato anche “handicap” che letteralmente sta a indicare la “zavorra di piombo che serviva a livellare la differenza di peso dei fantini nelle corse di cavalli”.
“Il termine ‘handicap’ negli anni ’80 veniva percepito come liberatorio mentre oggi, – spiega Stacchietti – come dimostra anche un sondaggio del 2009 di Focus, viene visto come un insulto e l’OSM l’ha bandito da ogni documento ufficiale”. Menomazione, invece, è il termine usato dalla classificazione delle disabilità negli anni ’80 che, ormai, è stato superato già dal 1999, rimpiazzato dal modello dall’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF), (Classificazione Internazionale del Funzionamento, Disabilità e Salute). Anche il termine disabile, però, bisogna saperlo usare. “Perché scriviamo ‘il disabile che fa il pittore’ e non ‘lo scrittore che ha una disabilità’?”, si chiede il giornalista che aggiunge: “L’aggettivo disabile si preferisce non sostantivato e quindi è bene non dire ‘il disabile’ ma ‘la persona con disabilità’”.
Giuseppe Trieste (nella foto), presidente e fondatore di Fiaba, ha insistito molto sulla necessità di “prendere coscienza del fatto che non ci si trova davanti a un disabile ma a una persona e perciò il fatto che sia in sedia a rotelle va scritto solo se strettamente necessario”. Essere disabili non è una sventura, non è la fine di tutto. “I casi di Giusy Versace e Alex Zanardi – sottolinea Trieste – ci dimostrano come la perdita delle gambe ha fatto vedere loro cos’altro gli prospettava la vita e che, quando si chiude una porta, si apre un portone. Ora sono olimpionici conosciuti in tutto il mondo”.
È giunto, pertanto, il momento di riavvicinare le persone con disabilità al resto della comunità. Era questo lo scopo di Anthai, l’associazione che, dagli anni ’80 agli anni 2000, ha preceduto Fiaba e ha lavorato per l’inserimento dei disabili nella società. “Erano anni in cui i disabili venivano cacciati dall’albergo. Ora, invece, – prosegue Trieste – bisogna eliminare la separazione tra scale e montascale, uno strumento infernale che spesso non funziona e discrimina il disabile creando due gruppi separati. L’uso dell’ascensore supererebbe questo problema”. L’idea di base è di creare un mondo e una società dove le barriere architettoniche sono abbattute per tutti, disabili e non perché anche i cosiddetti normodotati possono avere un temporaneo problema di mobilità ridotta e aver bisogno dell’ascensore. “Non dimentichiamoci, poi, che la ridotta mobilità riguarda tutti in quanto anche un semplice getto di aria calda sulla gamba ci può rendere temporaneamente disabili”, spiega, a tal proposito, Carlo Parisi, segretario aggiunto della Fnsi.
Un altro importante problema riguarda la rappresentazione che i media fanno delle persone con disabilità. “Molte cose sono cambiate nei media da quando la Rai inquadrava Pierangelo Bertoli solo se era seduto in una sedia. Oggi, invece, si è passati da un eccesso all’altro con i talent che, per esibizionismo, mostrano disabili che fanno tutto”, ha denunciato Paola Springhetti del Cesv (Centro servizi per il volontariato). Ed è bene anche stare lontani dal politicamente corretto: “Nel corso del tempo si è passati da minorato ad handicappato a portatore di handicap per poi arrivare a disabile e diversamente abile. Perifrasi quest’ultima che è diventata subito motivo di satira tanto che esiste persino il “diversamente magro” o il “diversamente vecchio”. “Oggi, poi, – ha aggiunto Springhetti – si è arrivati al paradosso che gli stessi non vedenti o non udenti preferiscono farsi chiamare ciechi e sordi”.
Colpisce, infine, come i destinatari principali degli insulti su Twitter siano in primis le donne (71mila) e, immediatamente dopo, i disabili (25586), come ha mostrato pochi anni fa Vox diritti. Se, invece, si guardano i dati dell’Agcom sul pluralismo sociale si vede come nelle reti Rai i disabili, la comunicazione sociale e il mondo dell’associazionismo abbiano uno spazio ridotto allo 0, rispetto alla politica e ai vari organi istituzionali.