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Ecco perché Sky, Esso e Mediaset dicono addio a Roma

La grande fuga delle multinazionali da Roma è in pieno svolgimento. Dopo Sky (200 dipendenti), Mediaset (140) è stata la Esso, società petrolifera americana, a decidere di trasferire in Liguria i suoi 250 dipendenti. Siamo solo agli inizi di quella che si annuncia come una profonda riallocazione di business alla ricerca delle migliori esigenze per produrre e che presto coinvolgerà anche le imprese di successo, di dimensioni medie e piccole, nate a Roma, quindi non delle multinazionali, impossibilitate e stanche di dover operare in un territorio del tutto inadatto a fare impresa.

Su ItaliaOggi sono anni che denunciamo il disastro della situazione del Lazio, una regione che, da un decennio, pretende di applicare alle imprese che vi producono la più elevata addizionale Irap d’Italia e illudendosi che ciò non produca nel medio termine degli effetti di spiazzamento nelle decisioni di investimento delle imprese. A Roma, poi, si aggiungono le doppie addizionali Irpef, comunale e regionale, che fanno pagare ai lavoratori romani il costo più salato d’Italia in termini di imposte sul reddito.

Un manager di una multinazionale, tanto per essere chiari, se anziché lavorare a Roma si ricolloca a Milano o a Verona risparmia quasi il 4,5% annuo di minori addizionali Irpef (il 3,33% regionale e lo 0,9% comunale). Se a tutto ciò si aggiunge che la qualità dei servizi pubblici nella capitale sono da terzo mondo e che se, per una qualsiasi ragione, un’ impresa ha la sventura di imbattersi con la burocrazia della Regione Lazio, il costo indiretto di tale inefficienza burocratica molto spesso rende l’investimento non più conveniente.

Resta una domanda semplice a cui, soprattutto la cosiddetta classe dirigente italiana, si dovrebbe dare una risposta: può la capitale del terzo paese dell’Eurozona e ancora nel G7 diventare un deserto imprenditoriale e produttivo dal lato privato dell’economia? Ovviamente in un paese normale non sarebbe neppure ipotizzabile, perché perfino Berlino è una capitale dinamica e ha saputo diventare il nuovo hub delle aziende innovative e delle startup tedesche, come certifica, ad esempio, la sede di Zalando nella capitale tedesca.

Roma, invece, in pieno ventunesimo secolo non ha ancora un fondo di venture capital privato in attività. “A Fra’ che te serve?”, chiedeva qualche decennio fa un noto imprenditore romano al braccio destro di Giulio Andreotti, certificando la dipendenza totale del business romano dalla politica. Ma nel mondo di oggi, o le capitali sanno essere attrattive, anche in termini fiscali, per i capitali della conoscenza e per i lavoratori creativi oppure si desertificano. Roma è già molto avanti sulla strada che porta al Sahara industriale.

(Articolo pubblicato da Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)


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