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Tutto quello che Wikileaks ha svelato sui rapporti Cina e Vaticano

Seconda puntata dell’approfondimento a cura di Antonino D’Anna. La prima puntata è disponibile qui

Nel corso della prima puntata, vi abbiamo raccontato di come il cristianesimo sia arrivato in Cina e sia stato sempre oggetto di persecuzioni. La più recente è quella cominciata negli anni ‘50 del secolo scorso, quando il governo cinese ha espulso i missionari europei e ha creato l’Associazione patriottica, “chiesa” che non riconosce l’autorità del papa – considerato un Capo di Stato straniero – e istituito la Sara, l’Agenzia che si occupa degli affari religiosi per conto del governo. Roma ha ricordato di essere in Cina solo a scopi religiosi e di non desiderare il potere: ma la persecuzione è continuata malgrado ad oggi si sia quasi vicini alla fine di questa difficile contrapposizione. È in questa puntata che vi racconteremo di come, nel 2005, la Chiesa fu ad un soffio da un clamoroso accordo diplomatico, fallito miseramente per motivi ignoti. A raccontarlo saranno i cablogrammi di Wikileaks.

È mercoledì 30 maggio 1979. Giovanni Paolo II è papa da pochi mesi, ma è già forte e determinato. Il suo pontificato mostra già il suo tono muscolare che durerà almeno per gli anni Ottanta e che poi, dopo la caduta del Muro e il progressivo peggioramento delle condizioni di salute di Karol Wojtyla, diverrà una testimonianza sempre più dolorosa di una vera e propria teologia del corpo.

Ma quel giorno di fine anni Settanta, mentre a Roma la primavera inoltrata annuncia l’estate italiana, il cablo 1979SECTO04086_e riassume l’incontro e la discussione tra Cyrus Vance, Segretario di Stato Usa per il presidente Jimmy Carter, e il papa polacco. Si parla anche di Cina. Scrive Vance: Il Papa era molto interessato alla Cina, e ha espresso interesse su tutto quello che potessi dirgli sugli sviluppi nella Cina continentale. Ha detto di essere preoccupato per i 3-5 milioni di cattolici in Cina, ma non sa come chiedere della loro situazione senza dare l’impressione che la Santa Sede abbia intenzione di abbandonare le sue relazioni con Taiwan. Gli ho dato un consiglio che ha molto apprezzato. Ho detto a Casaroli (Agostino, il Segretario di Stato vaticano, n.d.r.) che saremmo felici di fornire loro regolari comunicazioni sui più importanti sviluppi della situazione in Cina.

Ecco, la nostra storia moderna dei rapporti Cina-Vaticano e tentativi di conciliazione parte da qui. Parte e si ferma qua, perché nel messaggio di Vance, 38 (dicasi trentotto) anni fa, c’è tutto il problema cinese riassunto in poche righe. Nel 1972 la Santa Sede ha lasciato sguarnita la Nunziatura (ambasciata) vaticana a Taiwan, che Pechino considera una provincia ribelle. Ed è questo il punto nodale: la Cina vuole che il Vaticano abbandoni Taiwan (considerata una provincia  ribelle) per aprire una sede diplomatica a Pechino. Quando il 24 ottobre dello stesso anno il premier cinese Hua Guofeng arriva in Italia, il cablo 1979STATE277365_e annuncia che Gua non incontrerà nessun esponente della Santa Sede. E anche questo rientra nel copione: ufficialmente Roma e Pechino non hanno più rapporti dagli anni ‘50. Ma i cablo di Wikileaks raccontano un movimento sottopelle molto più complicato.

CHE COSA DISSE ANDREOTTI

Intanto una nota personale: persona degna di fede, che con il più volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti ebbe lungamente a che fare per motivi di rapporti e militanza politica, mi ha raccontato di una visita di una delegazione in quel di Shangai attorno al 1990. Malgrado le occhiute “guide” cinesi, la persona degna di fede, allora parlamentare della Repubblica, riuscì a incontrare due esponenti della Chiesa clandestina. E quando a Roma riferì al divo Giulio della missione compiuta, il divo si lasciò andare ad una profezia: Ma sì – disse – alla fine il problema della nomina dei vescovi in qualche modo si appianerà. Il problema dei cinesi è quello del potere sulle nomine, ma il Vaticano troverà il modo di risolverlo. Alla fine che cedano pure, tanto l’importante è che la Chiesa trovi il suo spazio in Cina. Il senso delle parole di Andreotti è più o meno quello che mi è stato riferito, e lo offro ai lettori di Formiche.net scusandomi per le imprecisioni nella ricostruzione (a memoria, sulla base della confidenza ricevuta) fattami. Ma Andreotti aveva l’occhio molto, molto lungo. E forse oggi sarebbe contento di essere stato buon profeta.

2002:  L’IMBARAZZO SU TAIWAN

Facciamo ora un balzo avanti: il 14 giugno 2002 il cablo 02VATICAN2901_a informa che: Secondo l’Ambasciata taiwanese, il Vaticano non stenderà il tappeto rosso per il presidente Chen, il quale questo luglio passerà dall’Italia in viaggio da Taipei all’Africa (…). Dietro le quinte, il Vaticano si è lamentato del fatto che le politiche interne di Taiwan impediscono l’espansione della Chiesa in loco.

A sfogarsi con l’allora ambasciatore americano Oltretevere James Nicholson è l’allora arcivescovo (oggi cardinale Protodiacono) e “ministro degli esteri” papale Jean Louis Tauran. Il quale commenta  seccato: Tauran s’è lamentato perché Taipei ha cancellato il 25 dicembre dalle feste nazionali (prima ricordava l’approvazione della Costituzione del 1936). E poi ha lamentato che le leggi edilizie taiwanesi impediscono la costruzione di nuovi seminari (…). E per adesso non ci sono notizie su un incontro con Chen (…). Taiwan, che ha relazioni diplomatiche col Vaticano, di solito chiederebbe una visita. Ma stavolta Roma non si è mostrata molto incoraggiante sul tema. Quindi, Taiwan adesso stava pensando di fare una sosta notturna a Milano, una cena privata con pezzi grossi di Oltretevere o esponenti del governo italiano.

In quei giorni in Italia c’è il ministro degli Esteri, Eugene Chien. Che incontra l’allora arcivescovo Giorgio Celli, al lavoro sulla Cina (con lui il futuro segretario di Stato Pietro Parolin) e discute con lui della situazione. Deng Xiaoping è morto e bisogna capire chi succederà al potere a Pechino: Il dialogo Roma-Pechino è in stallo finché non si risolve il problema della successione a Deng (…). Sin dal 1999 vari esponenti papali hanno ricordato a voce la dichiarazione del Segretario di Stato cardinale Angelo Sodano che il Vaticano è pronto ad allentare i suoi legami con Taipei dalla sera al mattino se Pechino vuole aprire relazioni diplomatiche in termini accettabili. Taiwan ritiene la proposta un insulto, uno strappo rispetto all’atteggiamento quasi sempre positivo e accomodante che la sua missione ha verso la Santa Sede, solo governo europeo a riconoscere Taiwan.

Nicholson tira le somme, e quindi: Il Vaticano appoggia i suoi amici taiwanesi, ma non farà parte di gratuite provocazioni alla Cina, specie prima del Congresso del Partito Comunista Cinese quest’autunno e vista la voglia di Roma di aprire negoziati diplomatici subito dopo.

2003 PART I: INIZIANO LE MONTAGNE RUSSE

Il carattere delle relazioni tra Vaticano e Cina è sempre stato umorale. Si viaggia tra alti e bassi, riprese e fermate. E i cablo di Wikileaks lo confermano. Il 17 gennaio 2003 l’ambasciatore Nicholson riferisce che 03VATICAN215_aIl responsabile degli affari cinesi, monsignor Gianfranco Rota-Graziosi ha detto che la Santa sede è pronta a trovare soluzioni ai tre principali ostacoli che bloccano la normalizzazione delle relazioni, ma che Pechino dovrà impegnarsi a dialogare per raggiungere un accordo. I tre ostacoli sono: l’autonomia della Chiesa in Cina, le relazioni diplomatiche Roma-Taiwan, l’accettazione da parte del Pcc di un riconoscimento del papa degli errori passati. (…) Rota-Graziosi osserva che la Chiesa cattolica in Cina: “Dev’essere autonoma, ma non può essere indipendente” dalla Santa Sede (…). Vede la Chiesa cinese libera come in America, che si autogoverna ma accetta la guida del Papa (…), eccezion fatta per il fatto che in Cina c’è la sovrastruttura del controllo governativo nella revisione e approvazione delle ordinazioni (di vescovi e preti) e altre decisioni papali.

Rota-Graziosi è bergamasco e in quel momento dirige l’ufficio per la Cina. Ha lunga esperienza in Segreteria di Stato e questo che avete appena letto è il punto su cui si dibatte da quasi 20 anni, cioè chi debba dire l’ultima parola sull’ordinazione specie dei vescovi. Come vedremo, sembra che la cosa si sia finalmente appianata o una soluzione sia vicina. E mentre Rota-Graziosi dice che Roma è pronta a tagliare con Taiwan, e che la Santa Sede “è pronta a pagare un prezzo simile”, aggiunge: Mentre il papa deve pensare ai 300mila cattolici taiwanesi, deve pure considerare i 10 milioni di cattolici in Cina e i suoi doveri pastorali verso di loro. E che: Il taglio delle relazioni con Taiwan fa parte di un pacchetto di “concessioni che dobbiamo fare” e che garantiranno relazioni normalizzate.

2003 PART II: ROTA-GRAZIOSI AD ALTA VOCE

Ma le cose non vanno, evidentemente, come Rota-Graziosi spera. Alla fine del 2003 le montagne russe registrano un “down”. È l’addetto politico dell’Ambasciata yankee, Brent Hardt, a incontrare il 3 dicembre Rota-Graziosi, che ufficialmente si occupa di Cina insieme all’arcivescovo Claudio Maria Celli. E Hardt gli parla, come riferisce 02VATICAN3575_a, perché il Vaticano sta chiedendo una mano agli americani per sbloccare la situazione (Roma e Washington sulla Cina, si capisce dai cablo, lavorano spesso insieme): Rota-Graziosi ha raccomandato tre possibili approcci per l’ambasciatore Hanford (John Hanford, dal 2002 al 2009 emissario americano incaricato di occuparsi della libertà religiosa) per sbloccare il dialogo Roma/Pechino durante il suo prossimo viaggio. Conscio del fatto che non succederanno grosse cose prima della Conferenza del Pcc a ottobre, Rota-Graziosi è sembrato rassegnato all’idea che passeranno anni prima che Roma e Pechino, grazie al loro dialogo, ottengano dei risultati. Ha poca speranza che Pechino possa essere ufficialmente persuasa a riaprire un dialogo con la Santa Sede (…). In ogni caso è cautamente ottimista su tre passi limitati che la delegazione Usa potrebbe assumere nel prossimo viaggio a Pechino di luglio 2004. Per esempio la Cina potrebbe accogliere una delegazione ufficiale della Santa Sede (…).

L’idea di Roma è l’invio di un vescovo o cardinale a discutere e incontrare diocesi e clero sia ufficiali che clandestini, dicendo messa a Pechino in una cattedrale “ufficiale”. E si scopre che il cardinale Roger Etchegarray ha già visitato la Cina, ma “come privato cittadino”. Oppure una collaborazione sulla cultura, come scambi tra musei oppure un simposio per discutere la storia delle loro relazioni. E già che c’è, Rota-Graziosi c’infila la sua botta diplomatica: Rota-Graziosi ha osservato che certamente sarebbe utile per la delegazione americana sollecitare la Cina a riaprire il dialogo col Vaticano, cosa che potrebbe avvenire anche grazie a intermediari informali come gli Usa, l’Italia, la Spagna, la Germania o altre parti interessate.

Gli americani abboccano? Hardt non ci crede. Ecco le sue conclusioni: Rota-Graziosi parlava a suo nome e, solitamente felpato in quanto esponente della gerarchia vaticana, questo non è stato per noi un brainstorming “confortevole”. Non è certo che l’arcivescovo Celli potrà appoggiare una o tutte queste idee, salvo l’ultima. La Santa Sede ha abbondantemente espresso il suo apprezzamento all’America per il lavoro della sua delegazione e per l’intervento personale del presidente (George Bush jr., n.d.r.) su questo tema a Pechino.

2005: L’ACCORDO A UN SOFFIO, MA…

E ci si trascina così avanti per altro tempo. Nel frattempo dai cablo si apprende che nel 2005 Roma e Pechino sono a un soffio dall’accordo, specie in vista delle Olimpiadi che si terranno nel 2008. Ma l’accordo, improvvisamente, sfuma.

 



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