Ben venga il salvataggio perché altrimenti “il Parlamento si assumerebbe la responsabilità di un fallimento secondo il bail in con effetti drammatici a catena sull’intero sistema bancario e sull’economia” ma sul decreto che sancisce l’acquisizione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca da parte di Intesa Sanpaolo ci sono alcune ombre lontane dal diradarsi. Ne è convinto il senatore Pd Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria, che all’“Huffington Post” ha spiegato i suoi dubbi.
I DUBBI SULLA LIQUIDAZIONE
“Secondo la Ragioneria dello Stato, i liquidatori dovrebbero recuperare 9,9 miliardi sui 17,8 miliardi di crediti deteriorati (sofferenze e incagli) al lordo dei fondi rischi e 1,7 miliardi da partecipazioni ed equity. Queste risorse dovrebbero coprire cinque uscite – analizza Mucchetti -: a) 3,5 miliardi versati a Intesa Sanpaolo per salvaguardarne gli eccellenti requisiti patrimoniali che, diversamente, sarebbero calati in seguito all’allargamento del business, e dunque del rischio, che deriva dall’acquisizione delle attività delle due banche venete; b) 1,285 miliardi versati a Intesa per coprire gli oneri di ristrutturazione delle venete, ossia la chiusura di due sportelli su tre; c) 300 milioni quale probabile perdita sui crediti in bonis delle venete che Intesa potrà, se crede, restituire alla liquidazione; d) 124 milioni per le cause legali; e) 5,351 miliardi di sbilancio di cessione, che è dato dai costi vivi della liquidazione, che sarà finanziato da Intesa alla quale lo Stato darà piena garanzia”. Iter che non convince l’ex vicedirettore del “Corriere della sera” che non è convinto delle cifre che si leggono nella relazione tecnica: “Anche la Ragioneria generale conosce la ragion di Stato o, più banalmente, la ragion politica. E così le può capitare di cucire un vestito a misura di Rigoletto”. Neppure lo consola il fatto che la Rgs si basi sulle stime della Banca d’Italia. “Noto che Mps, sotto l’egida del Tesoro, e con il placet della banca centrale, sta cedendo i suoi crediti in sofferenza al 20,5% del loro valore lordo al Fondo Atlante, mentre qui si ritiene che la liquidazione recupererà il 46,9% delle sofferenze, più del doppio, affidando il lavoro alla Sga, la società pubblica che lavorò sui crediti deteriorati del vecchio Banco di Napoli. Delle due l’una – mette in chiaro Mucchetti -: o si sovrastima l’esito della liquidazione delle venete oppure si sta facendo un regalo ad Atlante, che magari merita pure un risarcimento”.
LA CRISI DI LIQUIDITA’ E LE PAROLE DI MESSINA
Tanti dubbi che vanno a sbattere contro le parole dell’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, secondo cui senza questa operazione le due ex popolari sarebbero fallite e il Tesoro si sarebbe ritrovato a dover rimborsare 10 miliardi di obbligazioni garantite dallo Stato. “Il dottor Messina fa il suo mestiere. Conclude un affare importante per la sua banca, che diventa la prima del Nord Est senza rischi né oneri – chiarisce il senatore senza tanti giri di parole -, e passa anche per salvatore della patria. Giù il cappello”. Secondo Mucchetti, però, bisogna distinguere fra verità ante e post 23 giugno, giorno in cui c’è stato un incontro decisivo tra Intesa, ministero dell’Economia e Banca d’Italia per l’acquisizione. Dunque, prima del 23 giugno la verità era un’altra e “la politica e l’informazione” hanno il compito di ricordarla. “La verità è che, se i conti sottostanti il decreto sono giusti, se cioè la liquidazione si chiude addirittura con un saldo positivo di un miliardo, le due venete non erano al tracollo patrimoniale ma soffrivano soltanto una crisi di liquidità e necessitavano di una radicale ristrutturazione, peraltro ben impostata dal piano industriale di Viola (ex amministratore delegato di Banca Popolare di Vicenza e ora commissario liquidatore, ndr)”. In sostanza, per Mucchetti, stando ai numeri della relazione tecnica sarebbe bastata una ricapitalizzazione precauzionale di 6 miliardi, dei quali 4,8 li avrebbe messi lo Stato e 1,2 un soggetto privato. Il Tesoro avrebbe fatto un investimento recuperabile e non avrebbe elargito una mancia miliardaria a fondo perduto”. Peraltro un’operazione del genere “avrebbe comportato anche tagli occupazionali minori, essendo le sovrapposizioni da eliminare tra le due venete meno numerose di quelle tra le de venete più Intesa” e soprattutto avrebbe evitato un’uscita di cassa di 5,2 miliardi da parte dello Stato “sui quali il Tesoro non vanterà alcun diritto”.