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Da Amburgo a Bruxelles, Italia sempre più sola sull’immigrazione

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È desolante doverlo constatare, ma peggio sarebbe far finta di niente: sull’immigrazione anche il G20 appena concluso ad Amburgo segue le orme dell’Unione europea. In sostanza, l’Italia faccia pure la sua parte, ma agli altri non gliene importa niente se l’ottantacinque per cento degli sbarchi avviene nella sola Penisola.

Tocca allo stesso presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che nel corso del vertice dedicato alle priorità del pianeta sperava in una collaborazione sui migranti da parte dei Paesi che pur rappresentano le principali economie della Terra, ammettere l’esito “del tutto insufficiente” dell’incontro su questo tema. Neanche l’ultimo ed ennesimo naufragio nel Mediterraneo (quaranta morti al largo della Libia), ha scosso le coscienze né mosso la politica di quanti erano riuniti per risolvere problemi internazionali e comuni. Al contrario, nemmeno sanzioni sono state previste per i trafficanti di esseri umani, quali sono i moderni schiavisti del mare. Nel documento finale, inoltre, si riafferma il sovrano diritto degli Stati a “controllare i loro confini” e a badare alla sicurezza. Il che o suona lapalissiano, perché già rientra nelle prerogative delle legislazioni nazionali, o appare una furbesca copertura alla strategia dei muri che prevale nella cinica Europa e nei suoi governi. Secondo i quali i profughi vanno aiutati, “ma non nel mio giardino”. Porte e porti sempre più chiusi, dunque, “tanto ci pensano gli italiani”. Anche il grido di dolore del Papa rivolto al G20 sui “fratelli e sorelle che cercano una vita migliore”, è rimasto inascoltato.

Siamo in presenza di una doppia disumanità. Quella crudele degli scafisti, che ad Amburgo non è stata considerata degna di punizione. E quella cruda degli europei, che abbassano la saracinesca dei confini per non guardare la tragedia negli occhi dei disperati.

Eppure, come da tempo spiegano gli esperti più avveduti, il problema delle migrazioni non si risolve in mare, bensì sulla terra ferma dove esso nasce, ossia soprattutto in Africa. Investire risorse, formare corpi africani di salvataggio e di sorveglianza nei porti di partenza per scoraggiare l’esodo, colpire con fermezza gli scafisti, sequestrare e distruggere le loro imbarcazioni. Tante cose l’Italia ha il diritto-dovere di pretendere dall’Europa. A costo di porre veti, tagliare fondi, modificare equilibri a Bruxelles: è arrivato semplicemente il momento di fare politica.

(Articolo pubblicato su Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)



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