Nell’Introduzione a “La società aperta e i suoi nemici” Karl Popper scrive: “Questa civiltà non si è ancora totalmente ripresa dallo shock della sua nascita; il passaggio dalla società tribale o “società chiusa”, con la sua sottomissione alle forze magiche, alla “società aperta” che libera le capacità critiche dell’uomo. (…) Lo shock di questo passaggio è uno dei fattori che hanno reso possibile l’emergere di quei movimenti reazionari tesi a rovesciare la civiltà per tornare al tribalismo”.
Questa continua nostalgia, per certi versi inspiegabile visti i balzi in avanti fatti dall’umanità in termini di progresso sociale e di sviluppo economico, nei confronti della “società chiusa” ha una causa ben precisa. La “società aperta” o anche società della critica, per dirla con Elémire Zolla, “fa soffrire, perché l’uomo ha bisogno di certezze, di apodissi e di deduzioni, di cause finali e d’un centro su cui ruotare come un pianeta intorno al sole”.
La nostra società moderna è, infatti, ontologicamente impossibilitata a far ciò dato che, come scrive Giuseppe Gagliano, essa si fonda su una “conoscenza scientifica [intesa] come fatto oggettivamente verificabile e universalmente controllabile che ha fugato le tenebrose forse di un sapere ermetico, legato alla metafisica e patrimonio di pochi”. Altre, più laica sono le fedi della “società aperta”.
È la fede nell’Homo Faber, nel progresso, nell’idea che l’intelligenza ed il lavoro umano possono fare del domani un luogo migliore rispetto al passato. È la fede, in sostanza, nelle magnifiche sorti e progressive. Fedi laiche, verità prosaiche che però non soddisfano l’ansia di assoluto dei critici della modernità, che le reputano cosa “umana, troppo umana”.
È in questa prospettiva che va inquadrato “Arcadia e Apocalisse” (Licosia) di Giuseppe Gagliano, che può definirsi la costruzione, sulla scorta di Paolo Rossi e Luciano Pellicani, di una macchina in grado di distinguere i buoni dai cattivi maestri. Anzi una bussola necessaria per chi voglia orientarsi nel dibattito sul senso dell’Occidente (tramonto, rinascita, declino) che la crisi economica ha alimentato in maniera esponenziale.
Così i nostalgici del tempo andato, coloro che condannano à jamais le nostre società avanzate, i fustigatori dei costumi dei moderni, e i figli lacrimanti della madre terra offesa dagli uomini ingrati, appaiano per quello che sono e cioè dei reazionari che non si rendono conto dei progressi compiuti dagli esseri umani in termini di benessere materiale, di progresso, allungamento della vita. Anni strappati alle carestie, alle epidemie, alle calamità naturali in una lotta senza quartiere contro una natura che spesso è matrigna.
Una lotta epica, fatta dagli uomini potendo contare su due soli strumenti e cioè il discorso razionale ed il metodo empirico, che hanno consentito loro di creare condizioni certo precarie e ancora imperfette ma tuttavia sufficienti a far sì che un numero di esseri umani inimmaginabile in passato potesse perseguire la propria idea di felicità e vivere un’esistenza libera e dignitosa.
Giuseppe Gagliano, Arcadia e Apocalisse, Licosia, 2017 (pp. 85, euro 12.00)