Riforma, protezione e rilancio, sono le parole-chiave che hanno guidato i governi Renzi e Gentiloni nella salvaguardia del sistema bancario italiano. L’esigenza di una riforma complessiva del sistema bancario si avvertiva da anni, a causa di ritardi nella governance (emblematici i casi delle popolari venete), di un appesantimento e frantumazione delle strutture derivante dalla gestione telematica delle transazioni (con la conseguenza di un numero eccessivo, ormai, di sportelli), dall’accumularsi di troppe insolvenze. All’origine c’è la crisi finanziaria globale. Molte aziende, entrate in difficoltà, non hanno onorato i debiti e le banche, anch’esse in difficoltà, hanno chiuso i rubinetti. A questo circolo vizioso l’Europa ha reagito con la direttiva Brrd e poi con il troppo restrittivo bail-in.
È in questo contesto che si è mosso il governo italiano. La prima mossa ha riguardato la riforma delle banche popolari di dimensioni più grandi, obbligate a trasformarsi in spa. La stessa crisi delle venete – che abbiamo affrontato per evitare un fallimento che sarebbe ricaduto su un sistema economico altamente competitivo – è venuta alla luce proprio perché c’è stata la riforma. Successivamente abbiamo dato vita a quella condivisa del sistema di credito cooperativo che prevede la formazione di grandi gruppi (se ne profilano due, anche se, non nascondiamocelo, sarebbe stato meglio il gruppo unico, che avrebbe dato vita al terzo polo bancario italiano). Completano questo iter di azioni di moral suasion anche l’autoriforma delle fondazioni bancarie e la costituzione dei due fondi Atlante, che hanno permesso non solo il primo salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, ma hanno avuto, insieme al patto Marciano, un impatto positivo sull’intero mercato dei crediti deteriorati, sui quali siamo ulteriormente intervenuti nella manovra appena approvata, prevedendo le società di cartolarizzazione e il rientro in bonis.
Infine va ricordato il maxi decreto che consente allo Stato di investire fino a 20 miliardi per ricapitalizzare le banche e affrontare le poche crisi di sistema; in particolare Mps e le due popolari venete. La seconda mossa riguarda la protezione dei risparmiatori e la loro tutela dalla mala gestione e dal fallimento delle banche. Tutelare i risparmiatori deve essere l’obiettivo esplicito di ogni intervento pubblico in tema di banche. Certo, la distinzione tra le tre tipologie di risparmiatori – azionisti, obbligazionisti ed esclusivamente correntisti – consente di definire meglio le priorità. Nel caso paradigmatico delle 4 banche (Ferrara, Marche, Etruria e Chieti), il governo si è trovato a gestire istituti di fatto falliti, per i quali l’unica strada era la risoluzione. Con più interventi abbiamo esteso la tutela attraverso un rimborso automatico dell’80% o col ricorso all’arbitrato, sulla cui partenza riscontriamo, purtroppo, gravi ritardi. Successivamente, su Mps si è allargata la protezione ai retail e, nel caso delle Venete, è stato attuato direttamente dalle banche un piano di ristori che ha ampliato la platea, al quale, anche se non particolarmente lusinghiero, hanno aderito oltre il 70% dei risparmiatori colpiti.
Infine, terza mossa, il rilancio del sistema e la sua competitività. Solo l’insieme di questi interventi garantisce che le banche italiane riescano nel compito di modernizzarsi, snellirsi e rilanciarsi. Obiettivo alla nostra portata, in quanto le nostre banche stanno meglio di quanto si vuol rappresentare e lo hanno provato gli stress test del luglio scorso (Mps a parte, ma sulla quale si è subito messo in moto il salvataggio). Il dibattito, spesso politicizzato e strumentale, ha teso, invece, a gettare discredito sull’intero settore bancario. Sono oltre 630 le banche presenti in Italia (quindi troppe, come dicevamo), di cui 80 filiali di banche estere, ma ammontano a meno di una decina i casi di crisi sui quali il governo è stato chiamato a intervenire. Gli stessi dati della Banca d’Italia indicano un deciso calo dei non performing loans, che passano dai quasi 84 miliardi di sofferenze nette di aprile 2016 ai 77 di aprile 2017 (-8% su base annua).
È la conferma che la strategia di riforma, attuata in tappe progressive dai governi di centrosinistra sta funzionando. Alla base di tutto questo complesso intervento, un unico, determinante obiettivo: riportare la fiducia. A questo fine sono orientate le azioni di responsabilità, finalmente avviate verso gli amministratori responsabili delle crisi e la Commissione parlamentare di inchiesta che sta partendo. Su questa linea di intervento il dialogo con le autorità europee (Commissione e Bce) è costante; non semplice, qualche volta “dialettico”, ma trasparente e finalizzato a trovare soluzioni. L’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania; il primo al mondo per patrimonio artistico e gode di una posizione geografica invidiabile ai fini turistici e logistici. Ebbene, un sistema finanziario moderno, efficiente e autonomo, a sostegno di queste opportunità, è per noi fondamentale e non intendiamo rinunciarvi.