(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)
Se fosse vera, come io temo nonostante la mezza, neppure intera, smentita di Massimo D’Alema, la ricostruzione dell’ultima edizione della corsa al Quirinale, nel gennaio del 2015, offerta da Matteo Renzi ai lettori del suo libro Avanti, il buon Giuliano Amato dovrebbe fare causa per danni al suo curioso amico Silvio Berlusconi. Che ne propose alle ore 14 del 20 gennaio di quel disgraziatissimo anno la candidatura al Quirinale all’allora presidente del Consiglio e segretario del Pd nell’unico modo possibile per rendere l’operazione impraticabile. E ciò anche a costo, o forse proprio allo scopo – c’è, a questo punto da sospettare – di affondare il cosiddetto patto del Nazareno sulle riforme, con tutte le conseguenze che ne derivarono, compresa la bocciatura della riforma costituzionale, a quel punto solo di Renzi, nel referendum del 4 dicembre scorso.
Quando mancavano ancora nove giorni alla partenza della corsa al colle più alto di Roma, essendo state le Camere convocate per il 29 gennaio per eleggere il successore del dimissionario Giorgio Napolitano, sfiancato – a suo dire – dai due anni supplementari trascorsi al Quirinale dopo l’esaurimento del suo primo mandato, Berlusconi volle incontrare Renzi facendosi accompagnare dai soliti Gianni Letta e (allora) Denis Verdini.
Con la grazia, si può ben dire, di un elefante in movimento fra bicchieri, piatti, tazze e quant’altro di una tavola allestita per il pranzo, il presidente di Forza Italia ritenne di poter offrire a Renzi su un vassoio d’argento la soluzione del problema sul tappeto: l’elezione del già allora giudice costituzionale Giuliano Amato a presidente della Repubblica con l’appoggio da lui personalmente garantito, se non addirittura patteggiato, con la irrequieta minoranza del Pd guidata da Massimo D’Alema. Che si sarebbe preso la briga di parlarne proprio con lui, Berlusconi, per spianare la strada al già due volte presidente del Consiglio: la prima su designazione di Bettino Craxi, nel 1992, e la seconda su designazione dello stesso D’Alema per succedergli nel 2000 a Palazzo Chigi.
Renzi non è arrivato a scriverlo nel suo libro ma è facile immaginare ch’egli si fosse chiesto, sentendo Berlusconi quel pomeriggio, se il suo ospite ci fosse o ci facesse, come si suol dire. E come lo stesso Berlusconi avrebbe avuto il diritto di chiedersi se, a parti rovesciate, Renzi gli avesse proposto, per esempio, qualcuno alla presidenza di Mediaset, al posto di un Fedele Confalonieri stanco e dimissionario, d’intesa con un signore impegnato in una scalata al gruppo.
La risposta renziana, pur non immediata ma maturata in nove giorni, e annunciata alla vigilia del quarto e decisivo scrutinio parlamentare per l’elezione del capo dello Stato, quando il numero necessario per l’elezione scendeva da 673 a 505 voti, fu sarcasticamente all’altezza, diciamo così, del livello istituzionale scelto con impudenza da Berlusconi.
Anche Renzi decise di pescare nelle acque della Corte Costituzionale. Egli decise cioè di scegliere un altro giudice Consulta per un trasloco facile facile, a piedi, da un palazzo all’altro della stessa piazza. A Giuliano Amato il presidente del Consiglio e segretario del Pd preferì Sergio Mattarella, di discendenza politicamente morotea ma in grado ancor più di Amato di guadagnarsi il consenso della turbolenta minoranza post-comunista del Pd per avere avuto il “coraggio”, non a caso sottolineato in una dichiarazione dello stesso Renzi, di dimettersi a suo tempo da ministro per essere “coerente con le proprie idee”.
In effetti nel 1990 l’allora ministro democristiano della Pubblica Istruzione Mattarella si era dimesso dall’ultimo governo di Giulio Andreotti, con altri esponenti della sinistra del suo partito, per protesta contro una disciplina del sistema radiotelevisivo – la famosa legge dell’allora ministro repubblicano delle Poste Oscar Mammì – che finalmente legittimava la tv commerciale di Berlusconi.
Mai risposta – si può ben dire della reazione di Renzi alla mossa quirinalizia del presidente di Forza Italia – fu più perfida e proporzionata. Perfida e proporzionata sia rispetto a Berlusconi sia rispetto a D’Alema. Che ha reagito alle rivelazioni del segretario del Pd parlando di “ricostruzione fantasiosa” della vicenda presidenziale del 2015, ma il giorno dopo avere ammonito lo stesso Renzi di non sentirsi politicamente al sicuro fino a quando lui vivrà. E D’Alema – credetemi – non è tipo di ammazzarsi.