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Vi spiego il caos regolatorio di Bruxelles su banche e finanza

È difficile poter dare della grande confusione sotto il cielo d’Europa in materia di norme, di aiuti di Stato e di azioni della Vigilanza nel campo bancario lo stesso giudizio espresso ai tempi da Mao su problemi di ben diversa portata, cioè che la “situazione è eccellente”. In Italia d’ora in poi sarà bene chiamare il decreto sulla liquidazione delle banche venete come il “decreto Intesa Sanpaolo”, considerata la messa in guardia da parte di quest’ultima rivolta a governo e Parlamento perché nessuna modifica sia apportata al testo. Potrà accadere che il decreto passi attraverso il vaglio delle due Camere senza alcun emendamento, anche per non infastidire la Commissione Ue.

Ma, mentre in Italia si assumono questi tremebondi riguardi, in Germania nei bilanci delle banche dominano i titoli illiquidi, che costituiscono l’80% delle attività finanziarie. E la Vigilanza unica, sempre rigoristicamente occhiuta nei confronti dell’Italia, continua a dormire al riguardo, non essendovi notizia di alcun intervento dispiegato nonostante l’alta rischiosità di tali titoli, la cui categoria negli Usa è stata alla base della tempesta finanziaria perfetta. Contemporaneamente il Parlamento di Strasburgo con la procedura veloce fast track approva l’introduzione dei nuovi criteri contabili Ifr9 che impongono alle banche di fare accantonamenti, sia pure gradualmente, anche su perdite eventuali, future e attese. Dunque una nuova stretta patrimoniale proseguendo lungo la linea, normativa e di Vigilanza, che ormai degli istituti di credito si occupa esclusivamente del patrimonio, come se il ruolo di una banca fosse esclusivamente quello di rafforzare continuamente, in attuazione di questa o quella direttiva o principio europeo ovvero internazionale, il patrimonio, accada quel che accada sul versante degli impieghi e della tutela del risparmio.

È, questo, ancora il seguito bancario della politica di austerity, non della tutela della stabilità, che in questo modo diventa un caso da rigor mortis. Ormai si ha notizia di banche che, prima ancora di valutare i contenuti di un progetto sottoposto all’analisi del merito di credito, lo esaminano astrattamente per come possa essere affrontato nel ginepraio di indirizzi e disposizioni della Vigilanza, anche attraverso procedure automatizzate: di questo passo il banchiere diventerà di fatto un funzionario alle dipendenze di burocrati, alla continua ricerca di sottrarsi a responsabilità eventuali e future, residenti a Francoforte.

Ma non sono finiti i fattori della confusione: da un lato torna in campo europeo il proposito malsano, di origine tedesca, di introdurre un coefficiente di rischio all’investimento in titoli pubblici da parte delle banche o comunque di limitarne l’ammontare; dall’altro si starebbe riflettendo sulla possibilità di costituire bad bank di carattere nazionale per la ripulitura dei bilanci dai prestiti deteriorati anche con interventi pubblici. Naturalmente, siccome nei rapporti con le istituzioni comunitarie deve valere la regola aurea del timeo Danaos et dona ferentes, bisognerà esaminare nel concreto un tale progetto, se farà strada, essendo fondamentale, perché si possa parlare di una vera e propria bad bank efficiente ed efficace, che vi sia un apporto pubblico. Va ricordato al riguardo che circa quattro anni fa un’istituzione della specie, assistita da un contributo pubblico, era stata proposta dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, ma a Bruxelles fecero orecchie di mercante.

Oggi – meglio tardi che mai – si scopre la necessità di una tale bad bank, mentre si continua a traccheggiare sull’istituzione di un’assicurazione europea dei depositi e sull’adeguata dotazione e in tempi non biblici del Fondo di risoluzione delle banche. Ipotesi di piccoli aggiustamenti – insoddisfacenti, anche perché per la loro natura adottabili direttamente pure a livello nazionale – da apportare alla Direttiva Brrd sarebbero in preparazione da parte della Commissione e delle altre autorità. Manca un quadro d’assieme (mentre torna l’ipotesi del ministro delle Finanze europeo e della trasformazione dell’Esm in una sorta di authority) e manca una guida unitaria e autorevole.

È troppo sperare che oggi nel corso dell’assemblea dell’Abi il ministro Pier Carlo Padoan faccia conoscere la posizione, propria e del governo, su questa selva di norme e di controlli? Oppure, benché incomba anche l’esigenza che si pronunci non elusivamente sul Fiscal compact, si produrrà come al solito in uno slalom meramente descrittivo?

Pubblicato su Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi



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