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Mps, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Tutte le falle comunicative della Vigilanza Bce

Draghi, Bce, vigilanza

Da un po’ di tempo la politica monetaria è diventata soprattutto comunicazione, coerentemente, nel caso della Bce, con la strategia di forward guidance dalla stessa adottata. Orientare il mercato, incidere sulle aspettative, evitare bruschi mutamenti di indirizzo offrono dei vantaggi; ma vi sono pure gli svantaggi connessi, per esempio, alla non corrispondenza all’esigenza, che a volte può manifestarsi, di cogliere di sorpresa la speculazione.

Naturalmente, la comunicazione deve essere univoca, donde la sollecitazione, sempre nella Bce, alla single voice, considerato che, se si manifesta un pluralismo di opinioni al di fuori degli organi deliberativi, piuttosto che orientare si finisce con il confondere e disorientare, a meno che non si sappia che l’opinione alternativa a quanto dichiarato da chi ha la rappresentanza dell’Istituto – nel caso, Mario Draghi – sia nettamente minoritaria, come accade per le posizioni di Jens Weidmann, il capo della Bundesbank, sulle misure non convenzionali di politica monetaria. Non è facile fare leva sulla comunicazione, come potrebbe sembrare, perché molti sono i vincoli da osservare per mantenere nel tempo coerenza e rigore all’esercizio della funzione.

Per molti anni, quando il potere di decidere la politica monetaria era nell’intera disponibilità della Banca d’Italia, non si ricorreva alla forward guidance, ma non di rado le decisioni che venivano assunte falciavano, perché magari non erano attese, l’erba sotto i piedi della speculazione. Dalla complessiva filosofia seguita dall’Istituto poi si poteva pur sempre dedurre un indirizzo di carattere generale. Gli interventi del Governatore non erano assai frequenti e ciò nonostante qualche improbabile testa d’uovo avrebbe voluto che si riducessero ancora: comparati con il numero annuale di quelli svolti oggi dai vertici non solo della stessa Banca, ma anche della Bce e di altre banche centrali, essi risultano incomparabilmente minori: si trascurava, allora, e si trascura adesso, quando pure si sente qualche critica, come il crescere dalla complessità e lo sviluppo della globalizzazione rendano stringente l’esigenza di orientamenti da parte di chi governa la moneta. Ma ciò è vero anche per le altre principali istituzioni, nazionali ed europee: si pensi al numero, nell’anno, degli interventi pubblici del Presidente della Repubblica e di quelli di esponenti di altri organi costituzionali.

La comunicazione nel campo della politica monetaria, proprio per il ruolo che ha assunto pari a quello di una effettiva operazione, e l’anticipazione, sia pure in termini generici che poi si possono fare più concreti quando ci si avvicina alla realizzazione di concrete misure, esigono un approccio altamente professionale, sulla base di una rigorosa preparazione che simuli gli effetti del messaggio nei mercati e tra le diverse categorie più direttamente interessate allo stesso messaggio. L’insorgenza di equivoci risulta particolarmente dannosa perché si è poi costretti a correggere e ciò riduce l’importanza di questo strumento, ora di fatto annoverabile a pieno titolo tra quelli di politica monetaria.

Quel che è accaduto a seguito delle dichiarazioni di Mario Draghi nell’annuale seminario portoghese di Sintra, allorché le sue parole sono state intese, sia pure con qualche forzatura, come preannuncianti un non lontano avvio di una restrizione creditizia, nella quale sarebbero stati in ballo il livello dei tassi e le operazioni non convenzionali, deve fare riflettere. Per la prima volta, la Bce ha dovuto precisare e correggere la distorta interpretazione data alle parole del presidente con effetti non voluti sul cambio tra euro e dollaro. E sì che Draghi aveva comunque parlato di prudenza e gradualità nell’eventuale rientro delle misure in questione. Per annunci importanti, probabilmente, andrebbero privilegiate le occasioni più nettamente istituzionali, a cominciare dalla conferenza stampa che fa seguito alle riunioni del Consiglio direttivo quando si occupa di politica monetaria.

In ogni caso, l’adozione di un tale strumento richiede che ci si attrezzi meglio nel seguire i riverberi immediatamente successivi a dichiarazioni di particolare importanza. L’effetto fondamentale sortito dalla difesa dell’euro con la dichiarazione londinese di Draghi alla fine del luglio del 2012 non deve essere disperso per quel che ha significato, in situazioni di grande difficoltà, una comunicazione incisiva e determinata. Non va, poi, trascurata la comunicazione ex post, per la spiegazione delle misure che vengono adottate e delle loro motivazioni, essenziale per corrispondere al vincolo dell’accountability. Divenuta centrale, la comunicazione deve avere anche un assetto nell’organizzazione interna adeguato per professionalità e numero di organici.

In ogni caso, mentre per la Bce ci troviamo in presenza di problemi a uno stadio avanzato quando si tratta, da un lato, di evitare che la comunicazione si usuri, dall’altro, che migliori la sua efficacia e non venga fraintesa o recepita in modo inadeguato provocando dei controeffetti, quanto alla Vigilanza unica, siamo ancora allo stato nascente della funzione. I problemi della carenza di informazioni e di comunicazioni o della loro inadeguatezza sono emersi in questi tre anni circa in tutta la loro portata. In alcuni casi, quale quello della lettera inviata ad alcune banche sulle sofferenze il cui contenuto fu platealmente sfigurato, senza che, per giorni, intervenisse una correzione da Francoforte, il silenzio è stato grave.

Nel corso della crisi, prima, del Montepaschi e, poi, delle due banche venete, la comunicazione è risultata al di sotto del minimo indispensabile, con il risultato di fare prevalere voci e presunti indirizzi contraddittori, confusi e mutevoli. Il fatto è che, per una corretta ed efficace comunicazione, occorre che i fatti, cioè le decisioni che si assumono o che si progettano (si pensi a quella, testé ricordata, annunciata da Draghi a Londra) siano chiare in chi deve poi comunicare; se, all’opposto, questa condizione non si realizza, come dimostrano gli ondeggiamenti e le divaricazioni tra le diverse autorità europee competenti in materia, allora è difficile che la comunicazione possa fare miracoli.

Nel caso della Vigilanza unica hanno in effetti concorso entrambe le inadeguatezze, riguardanti, rispettivamente le decisioni da assumere e le modalità della comunicazione. È vero che la Vigilanza deve tener conto anche dei vincoli di segretezza e riservatezza; tuttavia, osservati tali limiti, il campo per comunicare, se si fa bene il proprio mestiere, non è ristretto. Oggi, comunque, l’operare di questa funzione è di gran lunga sotto la sufficienza. Non è certo il solo problema che tocca l’organo di controllo, concorrendo, invece, con i diversi altri che più volte abbiamo ricordato su queste colonne. Sarebbe, però, opportuno che alla sua soluzione, per l’impatto che la comunicazione è suscettibile di determinare, fosse data una urgente priorità.

(Pubblicato su Milano Finanza, settimanale diretto da Pierluigi Magnaschi)


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