L’Istituto Bruno Leoni, think tank liberista, ha elaborato un’ipotesi di riforma fiscale basata sulla flat tax, un’aliquota unica (ipotizzata al 25%), applicata per Irpef, Ires, Iva, imposta sostitutiva sui redditi di attività finanziarie. Si tratta di un tentativo organico di drastica semplificazione e ristrutturazione del fisco italiano, reso inefficace ed inefficiente da una irrazionale proliferazione di tributi ed agevolazioni che erodono le basi imponibili.
La proposta è centrata su una deduzione di base di 7mila euro annui per un single e l’introduzione della tassazione su base familiare, mediante scale di equivalenza che riproducono il quoziente familiare. Innovazione positiva per non disincentivare l’offerta di lavoro del coniuge che ha redditi inferiori, di solito la donna. Prevista anche una sorta di imposta negativa sul reddito, mediante trasferimento monetario, che affronta il nodo degli incapienti ed agisce sul welfare come “minimo vitale”. La previsione costituzionale di progressività del sistema tributario verrebbe rispettata attraverso il décalage delle deduzioni, che si azzererebbero per redditi superiori a 5 volte la deduzione base, rettificata per i componenti del nucleo familiare.
Prevista la scomparsa di Irap, Imu e di tutta una serie di tributi locali, sostituiti da una imposta comunale per i servizi urbani non dipendente da elementi di tassazione patrimoniale o reddituale ma da qualità di fornitura ed intensità di fruizione dei servizi offerti. Più problematica l’idea di offrire la possibilità di uscire dal sistema sanitario nazionale per i soggetti a maggior reddito, sottoscrivendo una polizza che riproduca l’offerta pubblica: se un soggetto (anche ricco) ha patologie preesistenti, il mercato assicurativo sanitario fallisce e nessuno gli offrirà polizze, a nessun prezzo.
La riforma prevede ovviamente l’eliminazione di pressoché tutte le deduzioni e detrazioni, eccetto quelle in essere all’entrata in vigore della riforma, come le ristrutturazioni e (verosimilmente) i mutui prima casa. Questo è l’aspetto più delicato: ogni misura di questo tipo provoca effetti distributivi, dove cioè qualcuno starà peggio, perdendo precedenti agevolazioni, e questo causerà fortissime resistenze, che troveranno immediata rappresentanza politica. Il rischio è quello di salvare la maggior parte delle agevolazioni, il che richiederebbe aliquote di equilibrio ben superiori al 25% suggerito.
La riforma, secondo i proponenti, causerebbe un deficit immediato di circa 30 miliardi, 2% del Pil, da colmare con revisione di spesa o più verosimilmente con riduzione del perimetro pubblico. Difficile pensare che una proposta del genere possa mai realizzarsi, ma ha certamente il merito di porre con forza e razionalità l’esigenza di rivedere tutto il sistema tributario ed in particolare l’Irpef, ormai svuotata dalle innumerevoli cedolari secche e divenuta punitiva per i soggetti a reddito medio-basso, oltre che un pesante disincentivo all’offerta di lavoro.