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Cosa può e deve fare l’Italia su Fincantieri (e non solo)

fincantieri

L’Italia un tempo Paese del melodramma diventa sempre più il Paese dello psicodramma. Quel che sta accadendo con Emmanuel Macron e con la Francia lo dimostra. Dopo aver demonizzato Angela Merkel, e dopo aver attraversato le angosce dell’acqua, del fuoco, dei vaccini e via via ansieggiando, adesso arriva il “dalli ai francesi”. Macron l’uomo della salvezza provvidenziale diventa il perfido dittatore (successe anche con Napoleone, ma allora la storia si presentava come tragedia oggi decisamente come farsa). Il circo mediatico-politico dà il meglio di sé. “La Francia vuole i cantieri di Stato”, spara il neopopulista Corriere della Sera. Poi subito sotto non può non scrivere che si tratta di una misura temporanea, l’esercizio di un diritto di opzione che sarebbe scaduto domani.

Il Sole 24 Ore titola “Macron: i cantieri Stx allo Stato”, ma il presidente francese non ha detto questo. Subito sotto arriva l’altra stoccata: “Telecom Italia adesso è francese”. Il che è vero, ma è anche vero che la campagna d’Italia di Vincent Bolloré è in un cul de sac e le istituzioni italiane (governo, autorità delle comunicazioni, magistratura) sembrano convergere nella difesa della Mediaset di Silvio Berlusconi. Si può dire che è inevitabile se l’azienda viene considerata alla stregua di un bene nazionale. E Bolloré non è certo uno stinco di santo. Ma chi non è protezionista, scagli la prima pietra. Non dimentichiamo che Massimo D’Alema bloccò il matrimonio tra Telecom Italia e Deutsche Telekom. E Giuliano Amato fermò con un decreto ad hoc Edf, l’azienda elettrica francese che aveva preso il controllo di Edison insieme alla Fiat.

L’unico commento con la testa sulla spalle si deve alla penna di Marta Dassù sulla Stampa, anche se il quotidiano torinese l’ha collocato sotto un titolo anch’esso psicodrammatico: “Navi e Libia, Macron sfida l’Italia”. En passant “Parigi licenzia anche il nostro chef” ci informa Alberto Mattioli. La ex viceministro degli esteri racconta lo stato d’animo e gli umori della diplomazia italiana nella tre giorni degli ambasciatori durante la quale il capo del governo, Paolo Gentiloni (in foto), ha offerto un’altra prova del suo buon senso. “Il vittimismo è un vizio antico – ha detto – non è una risposta né la sana premessa di una politica”. E Marta Dassù scrive: “La sfida francese obbliga l’Italia ad affrontare il problema essenziale che ha di fronte: come combinare, in un contesto molto più mobile e competitivo di un tempo, europeismo e difesa degli interessi nazionali”. Hic Rhodus hic salta.

Sui cantieri di Saint Nazaire si apre adesso un negoziato duro senza sapere come andrà a finire. Il governo italiano annuncia che difenderà fino in fondo gli interessi della Fincantieri e fa bene. Ma questi interessi particolari vanno messi all’interno di un’analisi degli interessi di fondo, di medio e lungo periodo, del Paese. Siccome una delle questioni più delicate riguarda la sicurezza e le commesse militari, vogliamo rilanciare la sfida mettendo Parigi di fronte alle sue contraddizioni sulla difesa europea? Siamo in grado di mettere anche la sorte della Stx in un contesto meno nazionale? Possiamo inserire questa trattativa dentro più ampie relazioni politiche e d’affari con la Francia?

Magari andrà male, magari davvero Macron si rivelerà un Bonaparte in erba o un generale de Gaulle fornato tascabile. Però sta al governo italiano costruire una piattaforma che vada oltre lo scatto d’orgoglio. Sarebbe utile anche discuterne pubblicamente e affrontare la questione in Parlamento. Certo, c’è il serio rischio che in tal caso lo psicodramma diventi isteria pura, ma almeno nessuno potrà dire a Gentiloni di non aver collocato nelle sue giuste dimensioni questa tensione transfrontaliera. Macron ha vinto con uno slogan efficace diventato addirittura partito: “En marche”; adesso comincia la sua marcia, ma verso dove non è chiaro, forse nemmeno a lui. Qui l’Italia potrà far valere la sua visione, ammesso che ne abbia una.


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