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Cosa scrive don Mario Delpini nei suoi racconti brevi

“Con Don Mario si va sul sicuro: la sua è un’intelligenza che non disdegna di coniugarsi col linguaggio dei semplici; direbbe il Vangelo: dei puri di cuore”. Così è descritto nella prefazione del suo ultimo libro, dal decano di Legnano don Fabio Viscardi, il nuovo arcivescovo di Milano don Mario Delpini, il successore di Angelo Scola scelto da Papa Francesco alla guida della diocesi meneghina, la più grande d’Europa. Il testo si intitola “E la farfalla volò. 52 storie sorprendenti” e comprende brevi narrazioni che, spiega don Fabio, sono state declamate a voce da don Mario, “come i grandi poemi omerici”, e solo in un secondo momento raccolte dai fedeli. “Un insegnamento che non si voleva perduto”, specifica. Raccontando come gli “pare di vedere don Mario: ritto in tutta la sua imponente statura, davanti all’ambone posto nel recinto sacro di una chiesa, o riparato in un angolo più discreto della piazza, mentre con le sue storia ammalia folle variopinte di adulti e bambini”.

52 BREVI APOLOGHI
Racconti brevi, di massimo due o tre pagine ciascuno, divertenti e allegorici, esposti con linguaggio comprensibile ai bimbi ma carichi di significati simbolici, indirizzati cioè alla riflessione degli adulti.

IL GATTO ADDOMESTICATO
Il primo è quello del gatto addomesticato, che all’inizio dice solo miao, ovvero “io non voglio servire ma essere servito, io non ho bisogno di incontro, di intesa, ma solo di cibo”, e a cui l’uomo non vuole insegnare a fare lavori pesanti come al cane o al bue, ma “solo insegnare ad aiutare un po’ in cucina”, a “sorvegliare la cottura delle bistecche, con l’incarico di chiamarlo al momento giusto”. Ma in questo modo furono tanti i giorni in cui l’uomo restò a pancia vuota, racconta la favola di don Mario, obbligandolo ad accontentarsi dei frutti della terra: “fu così che si originò l’agricoltura”. Ma il gatto continuava a piangere, per via del fatto “che ci fosse un limite al capriccio”. E l’uomo, stanco dei lamenti, gli lanciò la prima cosa che trovò: visto però che a quel tempo non si portavano ciabatte, ad essere scagliata fu una clava, che lo stecchì. E oggi, si conclude il racconto, si vedono gatti che ancora dicono miao e non ciao: pigri, che non si rendono utili a nessuno, e scontenti.

I TITOLI DEI BREVI RACCONTI
Seguono poi le storie di “Senzanome che trovò nome”, del “Vigliacco che diventa eroe”, di “Giacomino il pennello fino”, di “Giampi il piangina”, dei “pensieri sciocchi del sarto Annibale”, i “tre servi”, il “Canarino di Gesù”, il “Maestro che sapeva”, il “Microprocessore Charlie”, il “Mistero dell’agente 7”. O il “Segreto della gioia”, il “Natale del nonno Enrico”, il “Regno di Dio non si trova nella calza della Befana”, il “Sorriso degli anni passati”, il “Tempo”. E ancora “L’Illusione del girasole”, “L’invito del principe”, “La città della gioia”, “Lo spazzino zoppo”, la “Storia di un mucchio di sassi”, il “Sacrista ateo”. E la storia della Farfalla che volò, da cui il libro prende il titolo.

LA FARFALLA CHE VOLÒ
Dove si racconta come nella “repubblica dei bruchi” la vita fosse grigia, le parole “un incessante borbottare che dice sempre le stesse deprimenti mormorazioni, che occupano i tempi vuoti senza riempirli”, e dove persino i sogni sono grigi e “inseguono fantasie mediocri e soddisfazioni piccole, forse volgari”. Lì vi abitava però un bruco inquieto, “che si spingeva talvolta fino ai confini inesplorati”, e che se anche lui fosse a volte portato a inseguire “fantasie meschine” ne restava “sempre insoddisfatto”, in quanto sognava un mondo colorato “dove si potesse esplorare il cielo” e dove le parole “assomigliassero e liete canzoni”. Tornato da un viaggio solitario il bruco inquieto cominciò allora a “lavorare di buona lena”, e “nonostante la disapprovazione dei suoi vicini”, come il bruco invidioso che lo tacciava di essere esibizionista o il bruco sapientone che lo ammoniva sostenendo che non esistono mondi colorati, “sembrava persino contento!”, narra la fiaba di don Mario. E alla fine del racconto, quando dentro il bozzolo sembrava fosse quasi morto, si dispiegarono “ali colorate di farfalla”.

GLI STUDI DI DON MARIO
Don Mario infatti, seppure non abbia scritto molti libri pare sia in realtà un raffinato studioso, laureato in Lettere all’Università Cattolica e in Teologia alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, con tesi abbastanza impegnative, su La didattica del latino come introduzione alla Esegesi dei classici e La nozione di teologia di Giovanni Pico della Mirandola. Che anticipano le successive specializzazioni al Pontificio seminario lombardo e all’Istituto Patristico Augustinianum di Roma. Così, alla fine di ogni fiaba fa seguito una piccola spiegazione scritta da don Mario, una breve riflessione cristiana, talvolta di carattere spirituale.

LE SPIEGAZIONI A MARGINE
Dopo la vicenda del gatto addomesticato si legge infatti che anche i cristiani talvolta sono così, che cioè dopo aver ricevuto “la grazia dell’amore degli altri” iniziano a produrre “un lamento che somiglia alla canzone dell’istinto, che impedisce l’itinerario dell’amore”. Contenti cioè “delle situazioni di privilegio” ma “ingrati”, in quanto “tutto viene ricevuto come un diritto e tanto spesso molto va sciupato, come fosse cosa da poco”. Conseguenza cioè di “ingratitudine”, o meglio “mancanza di fede”. Mentre invece la storia del bruco riconduce alla festa che si celebra in casa di Zaccheo (Lc 19, 1-10) e riporta il significato “dell’incontro con Gesù che invita a non rassegnarsi”, insegnando “il modo più efficace per cambiare il mondo” senza “perdere tempo in meschine evasioni”, e mostrando il valore del “buon esempio di altri vicino a noi”, che sappiano pronunciare “le parole della gioia e della speranza”. Piccoli e semplici racconti, ma densi di concetti, e intrisi della pastorale del nuovo arcivescovo di Milano, capaci a volte di raccontare molto più di tanti sotterfugi, scontri, trame di palazzi, seppur sacri.



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