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Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ecco tutti gli effetti della liquidazione sulle banche italiane

Veneto Banca

Quella dell’Abi è stata un’assemblea tranquilla, con interventi (quelli del presidente Patuelli, del governatore Visco e del ministro Padoan) caratterizzati, tutti, da alta tecnicità. Ma sul piano economico generale va in particolare segnalato un passo, importante e significativo, del presidente dell’Abi. Che ha detto: «Non deve essere compressa l’indispensabile concorrenza nei mercati locali in un contesto dove il 95% delle imprese ha meno di dieci dipendenti». Patuelli ha affrontato un tema essenziale, oggi. Se si continuerà a procedere come finora hanno fatto i governi Renzi e Gentiloni (entrambi con Padoan all’Economia), il mercato del credito, in Italia, vedrà come protagoniste 3 o 4 banche in tutto.

L’oligopolio bancario è l’obiettivo, chiaro, della finanza internazionale. E con la soluzione perseguita da Padoan per le banche venete, indipendentemente da tanti altri aspetti riguardanti l’intervento di Intesa San Paolo, il preannunciato (e vaticinato) oligopolio fa certo un grosso passo avanti. Il fatto che le organizzazioni di categoria (indotte solo a chiedere impossibili agevolazioni fiscali) non abbiano idea di quale mercato del credito preparano per i loro figli con questo loro modo di comportarsi (un mercato privo di concorrenza e quindi a tassi crescenti per i clienti) indica a che punto di servitù volontaria (direbbe Etienne de la Boetie) siamo arrivati.

Intervenendo, subito dopo il governatore, e comunque dopo Patuelli e le sue illuminanti parole, Padoan ha detto (testuale dal sito del ministero dell’Economia): «Tra la crisi economica e i crediti deteriorati c’è uno sfasamento temporale che spiega perché l’ammontare dei crediti deteriorati raggiunge il picco nel 2015, mentre l’economia già mostra segnali di ripresa. Allo stesso tempo l’accumularsi dei crediti deteriorati contribuisce a frenare, sia pure in parte, la ripresa. Nel frattempo entrano in vigore le nuove regole europee, che come ora è a tutti evidente impongono al sistema italiano nel suo complesso un salto di qualità. Occorre maggiore consapevolezza nelle scelte dei risparmiatori, occorre intervenire in radice sulla governance degli istituti di credito in modo da renderla più funzionale, rafforzando gli incentivi per il management. È in questo contesto che il governo vara la riforma delle banche popolari. Il risultato di quella riforma è che oggi abbiamo operatori più responsabilizzati e reattivi al mercato e un gruppo bancario più grande ed efficiente delle due banche che vi hanno dato origine, mentre le banche mal gestite per anni, a danno dei propri azionisti e di altri creditori, sono uscite dal mercato senza conseguenze per clienti, risparmiatori, dipendenti».

In sostanza, nel 2015 c’era già la ripresa, ma è stata frenata, sia pure in parte, dai crediti deteriorati. Dunque la colpa è dei banchieri, anche se i crediti si sono deteriorati a causa della depressione dei valori immobiliari, risollevatisi in tutta Europa meno che in Italia, anche per deliberato proposito di Padoan, coerente peraltro con il suo pensiero di sempre (non condiviso dagli studiosi dell’economia reale) e cioè che l’investimento immobiliare, lungi dall’essere un motore favorevole, come l’edilizia, a decine di settori a quest’ultima collegati, sia un investimento parassitario. Di qui, par di capire, la riforma delle Popolari, che non si sa cosa c’entri se non ignorando volontariamente che tre delle quattro banche non erano Popolari. Riforma difesa dal ministro (ed è logico, è opera sua oltre che dell’ex premier Renzi e della ministra Boschi), che peraltro salta, a piè pari, come si vede, l’argomento principe di Patuelli, svolto appena prima dell’intervento del ministro. E perché mai tutto questo? Perché, non c’è scampo, la riforma delle Popolari è stata la madre di tutte le disgrazie successive e in più perché ha aperto (anzi, spalancato) le porte all’oligopolio. Tutto qui, anche se non vogliono che lo si dica.

Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi


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