Nella prima Repubblica si insegnava fin da piccoli la cultura delle alleanze.
Era un concetto molto chiaro. L’alleanza politica allargava il perimetro parlamentare, rendeva più efficace la azione di governo e coinvolgeva un maggior numero di strati sociali. Solo da ultimo veniva valutata “la convenienza”. Oggi il mantra di Renzi sembra essere quello dell’uomo contro tutti. Quasi alla ricerca di una catarsi elettorale lungi dall’arrivare. I ceti dirigenti sono smarriti.
Parlando l’altra sera con una serie di professori universitari genericamente progressisti mi confidavano di essersi sentiti sdoganati dall’arrivo di Renzi e di aver condiviso le sue battaglie che prima nel recinto di una sinistra ideologizzata non potevano neppure essere sussurrate. Ma oggi li ho trovati angosciati e terrorizzati dall’avvento possibile dei Cinquestelle. Ma questi ceti dirigenti quanto hanno aiutato i vertici politici?
1981. All’indomani del ritrovamento del famoso elenco della P2 a villa Wanda casa di Licio Gelli il pubblico ministero Gerardo Colombo si precipitò a palazzo Chigi per rendere edotto il presidente del consiglio dell’epoca Arnaldo Forlani della gravità della cosa. Forlani era un uomo a sangue freddo ma prese la decisione di dimettersi (anche per l’amarezza, si disse allora, di aver trovato nella lista il nome del prefetto Semprini suo capo di gabinetto). L’allora presidente della repubblica Sandro Pertini respinse le dimissioni di Forlani che coerentemente le reiterò andando a proporre il nome di Giovanni Spadolini leader indiscusso del minuscolo Partito repubblicano. In una livida e drammatica direzione democristiana tutti erano contrari alle dimissioni di Forlani ma egli spiegò che l’unico democristiano che poteva stare a Palazzo Chigi si chiamava Giovanni Spadolini spiegandone l’affidabilità umana, personale e politica. La direzione centrale Dc dapprima riottosa si fece lentamente convincere e fu così che si insediò un presidente del consiglio laico ed un presidente della repubblica, Pertini, anch’esso laico.
Anche nel ’83 Forlani e De Mita ebbero chiaro il senso e la cultura delle alleanze. Accettarono la presidenza del consiglio per il socialista Bettino Craxi ma la Dc ottenne la maggioranza del consiglio dei ministri (14 per l’esattezza) e mise Andreotti agli Esteri, Scalfaro agli Interni e Forlani vice presidente del consiglio. Furono 4 anni di solidità politica e di sviluppo democratico ma senza la cultura delle alleanze e ceti dirigenti preparati non se ne sarebbe fatto nulla.