Temo, per Matteo Renzi, che gli costerà assai cara la gara che sta facendo con Beppe Grillo, tramite i rispettivi “portavoce”, a tutti gli effetti, contro i vitalizi che, soppressi almeno nominalmente per il futuro, continuano a prendere 2600 ex parlamentari e non so quanti ex consiglieri regionali. E ciò non per eliminare ma solo per ridurre un presunto spreco, o come diavolo si preferisce chiamarlo, di 215 milioni di euro su circa 830 miliardi di spesa pubblica.
Al netto dei rischi d’incostituzionalità riconosciuti dagli stessi concorrenti alla presunta – anch’essa – popolarità di un intervento del genere, e persino dei rischi che esso naufraghi già nelle acque limacciose del Senato, magari solo con modifiche che la Camera non farebbe in tempo ad approvare prima della fine ormai vicina della legislatura, rimarrà a carico del segretario del Pd un terribile sospetto non di 2600 ex parlamentari ma di milioni di pensionati comuni, e relativi familiari. È la paura ch’egli sia disposto dopo le elezioni, per coerenza politica, a tagliare anche i loro trattamenti. Che, al pari di ciò che si vorrebbe fare appunto con i vitalizi, potrebbero essere ricalcolati retroattivamente col cosiddetto sistema contributivo e subire perdite calcolate dagli esperti fra il 30 e il 40 per cento.
Si tratta, d’altronde, dello stesso piano perseguito da tempo dal presidente dell’Inps Tito Boeri, al quale Renzi da presidente del Consiglio si oppose, temendone proprio gli effetti elettorali, oltre che l’iniquità e i rischi di incostituzionalità per l’attacco ai cosiddetti diritti acquisiti. Evidentemente da semplice segretario, o risegretario, del Pd egli ci ha ripensato ritenendo più pericolosa la concorrenza dei grillini, e quindi inseguendoli.
In questa gara, si sa, Grillo non rischia nulla, essendo il suo elettorato dichiaratamente non di testa ma di pancia, ma di una pancia piena soprattutto di antiparlamentarismo, che fa scambiare quei 2600 ex fra deputati e senatori, e non so -ripeto- quanti altri ex consiglieri regionali, per parassiti, ladri, carogne e quant’altro. Renzi invece rischia, eccome. Il suo elettorato, specie dopo la scissione subìta dal Pd ad opera della sinistra più arcaica e settaria, arrivata in questi giorni a contestare persino l’abbraccio di Giuliano Pisapia ad Elena Boschi, entrambi ospiti di una festa milanese dell’Unità peraltro scomparsa nel frattempo dalle edicole, non sembra ad occhio e croce confondibile con quello grillino. Lo hanno capito al volo quelli di Forza Italia, che hanno guidato l’opposizione al provvedimento “anti-casta” lasciando soli i leghisti, nell’area di quello che era e vorrebbe tornare ad essere il centrodestra, ad accodarsi a Grillo e a Renzi.
Che cosa pertanto abbia potuto spingere il segretario del Pd sulla strada suicida dell’inseguimento di Grillo non si riesce francamente a capire. Non è evidentemente bastata a Renzi l’esperienza contestatagli non a torto da Giorgio Napolitano di avere perduto il referendum costituzionale del 4 dicembre scorso per avere inseguito anche allora i grillini motivando la riforma con argomenti spesso di sostanziale antiparlamentarismo. Non dimentichiamoci della grancassa per i risparmi che sarebbero derivati dal Senato ridotto a un centinaio fra consiglieri regionali e sindaci senza indennità, ma con rimborsi spese assicurati.
Sarebbe per Renzi, ma anche per il suo partito, e per il sistema, un secondo tentativo di suicidio, questa volta destinato probabilmente a riuscire.
A meno che non sia vero il sospetto dei peggiori avversari del segretario del Pd ch’egli in fondo, come lo scorpione che punge la rana e affoga con essa attraversando il fiume, stia godendo all’idea di vedere tagliati i vitalizi, fra gli altri, di due ex deputati non proprio carini con lui come Massimo D’Alema e Ciriaco De Mita.