Il ragionier Fantozzi non abita più qui, in quest’Italia con poca voglia di scherzare e alle prese con problemi sociali molto diversi rispetto a quelli così ben raccontati e incarnati da Paolo Villaggio con l’arma invincibile dell’ironia, quarant’anni fa. Eppure, tante cose ci lascia quell’approccio che oggi appare caricaturale, ma che ieri evocava l’atteggiamento del tipico impiegato da “vorrei, ma non posso”, cioè dell’uomo un po’ sfortunato e molto vessato che reagiva alla prepotenza del capo sottomettendovisi ancor più (ma sempre dopo aver minacciato l’”adesso gliela faccio vedere io” tra sé e sé: l’incompiuta promessa dell’eterno umiliato).
Come accade solo coi grandi attori, Fantozzi ci lascia, per cominciare, una risata senza limiti e senza tempo ogni volta che al cinema, in tv, tra le pagine dei suoi libri ne rivediamo il personaggio diventato una vera e propria maschera del costume italiano. “Fantozziano” è espressione corrente, così come lo è il ricorso alla battuta liberatoria con cui il nostro ragioniere liquidava con disarmante candore la “Corazzata Potëmkin”, pellicola russa che invece risultava molto cara all’intellighenzia più impegnata. Ecco che significa sarcasmo popolare: il Fantozzi che in un raptus di coraggio dice, finalmente, quel che tutti pensano. Non è, forse, rivoluzionario che proprio “il prototipo del tapino” -per citare parole di Villaggio su se stesso- sveli la grande verità? E allora il comico Fantozzi può trasformarsi, e infatti si trasformava, nel drammatico Fantozzi. E i suoi continui atti di sudditanza, di frustrazione, di persona vile e codarda in oasi, talvolta, per le urla del silenzio. Per contestare quel che invece subiva. Per mettere in fila gli stereotipi del lavoro, della famiglia, dei sogni di benessere, perfino del calcio che hanno unito l’Italia in una sonora risata. Siamo di nuovo lì, al potente messaggio dietro il paravento dell’uomo senza qualità: una risata li seppellirà
Anche il super-timido Giandomenico Fracchia sarebbe difficile, oggi, incontrare per le distratte strade d’Italia, così come il macchiettistico professor Kranz. Tuttavia, il lascito dei racconti e dei concetti da loro inventati (si pensi al meraviglioso “com’è umano, lei!, atto di servilismo e di accusa insieme), non sono datati.
Paolo Villaggio ci ha fatto divertire o ci ha fatto riflettere? Le due cose: il sorriso cambierà il mondo ma, intanto, ha cambiato l’Italia.
(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)