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Vi ricordo le capriole (pure del centrodestra) sul Fiscal Compact

Il Fiscal compact? E chi si è mai inventato questa orrenda tagliola che ha intrappolato l’economia italiana? Tutti lo rinnegano, nessuno sa più quando è nato, come e perché. Beppe Grillo dice che lo hanno voluto tutti tranne lui. Giulio Tremonti replica sul sito del comico che il patto “ha preso forma” solo nel novembre 2011 quando Silvio Berlusconi era stato sostituito al governo da Mario Monti il quale, dal canto suo, rivela che il vero padre è Mario Draghi. Il Pd ha votato tutto quello che adesso Matteo Renzi vuole gettare alle ortiche. Quanto a Renato Brunetta, prima delle elezioni del 2013 diceva che era merito (sic!) di Berlusconi.

Incredibile dictu? Leggete qua: “Ricordiamo che nel 2013 l’Italia raggiungerà il pareggio di bilancio grazie all’opera di consolidamento dei conti pubblici svolta per l’80% dal governo Berlusconi e solo per il 20% dal governo tecnico – scrive Brunetta – Dal 2008 al 2011, infatti, il primo ha varato 4 manovre aventi effetto cumulato, fino al 2014, di 265 miliardi di euro. Mentre il decreto ‘Salva-Italia’ del governo Monti avrà un impatto complessivo sulle finanze pubbliche, nel triennio 2012-2014, di 63 miliardi. I dati sono della Banca d’Italia”. Non solo: “Se oggi l’Italia si pone come il paese più avanzato in Europa dal punto di vista del controllo dei bilanci è perché già col governo Berlusconi aveva approvato il Six Pack e la riforma dell’articolo 81 della Carta”. Insomma, la vittoria ha molti padri e la sconfitta è orfana, come scriveva lo sfortunatissimo John Keats.

Sembra un romanzo di Agatha Christie. Ricordate “Assassinio sull’Orient Express”? Alla fine si scopre che tutti hanno dato la loro coltellata ferale. Ma come sono andate davvero le cose? Le carte ci sono, basta guardarle. Dalla primavera 2010 la Germania aveva chiesto agli Stati membri di applicare le regole sul pareggio del bilancio e rispettare rigorosamente il deficit del 3%. Nel febbraio 2011 Germania e Francia propongono un coordinamento economico dell’area euro (aderisce anche la Spagna). Intanto si fa esplosiva la crisi greca. Mario Draghi è governatore della Banca d’Italia e la Bce è guidata da Jean-Claude Trichet. Silvio Berlusconi è capo del governo italiano e Giulio Tremonti ministro dell’Economia. Il 15 marzo si riunisce il consiglio dell’Unione europea e vara, con l’approvazione di tutti tranne la Gran Bretagna e la Repubblica ceca, il Six Pack, cioè una direttiva e cinque regolamenti per mettere sotto controllo i bilanci pubblici e punire chi sgarra. La più importante è senza dubbio la “regola del debito” in base alla quale per la quota del rapporto debito/PIL in eccesso rispetto al valore del 60 per cento, il tasso di riduzione deve essere pari ad 1/20 all’anno nella media dei tre precedenti esercizi. Ad essa si accompagnerà poi l’impegno al pareggio del bilancio strutturale da inserire “possibilmente” nella costituzione.

L’intero pacchetto diventa operativo a novembre con una sfilza di regolamenti, ma la decisione è stata presa a marzo, ciò vale per stabilire la firma politica ai provvedimenti. Sempre a novembre, Draghi diventa presidente della Bce e spiega urbi et orbi che la banca può e deve avere un ruolo attivo nel salvare l’euro e l’intera economia europea, a condizione che la politica monetaria espansiva sia accompagnata da una politica di bilancio rigorosa, attraverso un impegno solenne, un patto sottoscritto da tutti i paesi della zona euro. Allora comincia a usare l’espressione fiscal compact, come si può leggere in una serie di suoi discorsi ai primi di dicembre (tra l’altro uno al parlamento europeo) i quali spiegano le prime clamorose decisioni prese a Francoforte (l’acquisto di titoli pubblici italiani e spagnoli, la riduzione dei tassi all’un per cento e un finanziamento illimitato delle banche).

Al consiglio europeo del 9 dicembre tutti i 17 membri della zona euro concordano il patto, poi approvato sotto forma di trattato il 2 marzo 2012 da 25 su 28 stati (si tirano fuori il regno Unito, la Repubblica ceca e la Croazia), quindi anche alcuni che non adottano l’euro. Entra in vigore il primo gennaio 2013. Intanto l’8 maggio 2012 il parlamento italiano modifica la costituzione per introdurre il pareggio di bilancio che avrebbe dovuto avere effetto dal 2014.

E così siamo alla cronaca. E’ possibile ridiscutere il Fiscal compact come tutti i patti di questo mondo. Nessuno, del resto, può negare il diritto di correggere gli errori. Ma bisogna avere il coraggio di dire chiaramente “abbiamo sbagliato”. Le amnesie del centro-destra che vantava come un successo quel rigore finanziario oggi demonizzato o i mal di pancia del centro-sinistra che innalzava la bandiera dell’euro, diventano una presa in giro verso i propri elettori. Quanto ai pentastellati che, rimasti senza un centesimo ricorrono ai sesterzi, è davvero difficile districarsi tra tutte le loro piroette sulla moneta e la politica di bilancio. Nessuno osa prendersela con Draghi (almeno Monti ha avuto il merito di tirarlo in ballo anche se come abbiamo visto la genesi del Fiscal compact è più complessa). Ma nessuno ha nemmeno la onestà intellettuale di ammettere che senza quel patto (contraddittorio, rigorista, conservatore, magari per qualcuno scellerato) l’Italia sarebbe in bancarotta. Quando i “falchi tedeschi” o i vertici della Bundesbank sostengono che siamo stati salvati dalla Bce grazie ai tassi negativi e al quantitative easing non dicono tutta la verità (perché le tasse le abbiamo pagate noi italiani così come il taglio alle pensioni), ma senza dubbio non mentono.


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