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Ecco come Ibm chiede a Trump di non azzoppare l’intelligenza artificiale

Con Donald Trump alla guida degli Stati Uniti e deciso a difendere i posti di lavoro nelle fabbriche, Ibm si preoccupa di rassicurare il presidente sulle sue attività nel settore dell’intelligenza artificiale (AI) incarnate dal super-computer Watson: non c’è il rischio di distruggere posti di lavoro, garantisce Big Blue; anzi, le macchine intelligenti daranno nuovo impulso all’economia americana.

LA LETTERA DI IBM AL CONGRESSO

La Casa Bianca non ignora la rivoluzione dell’intelligenza artificiale e per capirne potenzialità e sfide ha messo insieme presso la Casa dei Rappresentanti un Artificial Intelligence Caucus bipartisan, guidato da John Delaney e Pete Olson. Un’iniziativa cui Ibm, sempre più impegnata su AI, cognitive computing e cloud, vuole apportare il proprio contributo, come scrive David Kenny, Ibm Senior Vice President for Watson and Cloud, che ha inviato una lettera a tutti i membri del Congresso spiegando il punto di vista del colosso informatico su quali strategie politiche dovrebbero accompagnare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

DISTOPIE INFONDATE

Ci sono molte voci allarmistiche che si sono sollevate nel dibattito sull’intelligenza artificiale, nel timore di una distruzione di posti di lavoro in proporzioni massicce, fino a visioni “distopiche” in cui l’AI diventa padrone assoluto. Niente di più lontano dalla realtà, come dimostra “chi lavora nella scienza della machine intelligence e la applica all’economia e alla società reali. Così fa Ibm, che ha creato il primo sistema basato sul cognitive computing, Watson“, scrive Kenny nel messaggio al Congresso Usa. Il vero disastro sarebbe “abbandonare o inibire la tecnologia cognitive prima che possa esprimere il suo potenziale”. Infatti, le nostre società pagano un alto prezzo per non avere una conoscenza più completa in settori in cui oggi, grazie all’analisi di enormi quantità di dati, è possibile “sapere di più”, dalla diagnosi di una malattia alla localizzazione di risorse naturali fino ai rischi dell’economia globalizzata.

LA MACCHINA NON SOSTITUIRA’ L’UOMO

Queste le tre priorità di un dibattito costruttivo sull’intelligenza artificiale secondo Ibm: Intent, Skills, Data. Primo punto: lo scopo dell’AI. Kenny chiarisce che l’intelligenza artificiale non sostituisce l’azione dell’uomo ma la potenzia. Il top manager porta l’esempio degli scanner per i codici a barre o dei bancomat, che hanno aumentato la produttività, creato nuovi lavori e migliorato la vita delle persone. Così faranno i sistemi di intelligenza artificiale più avanzati, come quelli che passano al vaglio gli studi scientifici o analizzano le cyber-minacce. Sono attività che non solo non sostituiscono l’intervento umano ma che hanno bisogno sempre di una decisione finale e di un giudizio presi da una persona in carne ed ossa.

NO ALLA TASSA SUI ROBOT

Secondo punto: le competenze. Kenny invita il Congresso a considerare che l’industria dell’AI ha bisogno di competenze che oggi non esistono né tra chi studia né tra chi è già impiegato. A questo proposito Kenny apre una parentesi rispondendo indirettamente a quanto suggerito di recente da Bill Gates: guai a tassare l’automazione, danneggerebbe il progresso e a soffrirne sarebbe il vantaggio competitivo acquisito dall’America. Dall’automazione non si torna indietro ma è possibile, anzi necessario, aggiornare il sistema scolastico e di formazione continua per incorporare specifiche nozioni tecniche che permettono di lavorare nell’industria dell’AI. Che ha un alto potenziale di sviluppo e di remunerazione.

Si arriva così al terzo punto: i dati. Le aziende che creano sistemi di AI e li usano devono sempre far sapere al pubblico come funzionano questi sistemi, ovvero in base a quali algoritmi e criteri prendono le loro decisioni. “In Ibm questo è un principio a cui non veniamo mai meno”, dice Kenny. “E dobbiamo anche garantire che chi lavora con l’AI sia un guardiano responsabile dei dati che gestisce. Abbiamo bisogno di data policies eque, che favoriscono l’apertura e rispettano la proprietà intellettuale”.

ALLEATI CONTRO L’IPER-REGOLAZIONE

Il libero sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale, contro ogni eventuale tentativo della politica di imbrigliare le sperimentazioni delle aziende, non sta a cuore solo a Ibm. L’anno scorso, Ibm insieme a Facebook, Google, Amazon, Microsoft ha dato vita alla Partnership for Artificial Intelligence con l’obiettivo di mettere a punto standard etici per l’utilizzo del machine learning e della robotica prima che i regolatori dei governi (americano ma anche europeo) cedano alla tentazione di applicare all’AI norme sulla protezione dei consumatori. “L’AI è oggi una delle regolari spese di lobbying per diverse di queste aziende“, ha riportato Recode, aggiungendo: “Ibm, in particolare, ha passato gli ultimi anni a cercare di raccontare una storia a lieto fine sull’AI, contro chi vede una catastrofe per il lavoro o l’umanità in generale”.

“Ponendo l’essere umano al centro, le nuove tecnologie introducono nuovi paradigmi che devono essere condivisi, affrontati e discussi insieme a tutti i protagonisti coinvolti: istituzioni, imprese e così via”, indica Francesco Stronati, Ibm Vice President, Health&Public Sector, Italy. “Solo così si potranno cogliere concretamente tutte le opportunità sociali ed economiche di questa nuova era cognitiva“.

L’ESSERE UMANO AL CENTRO

Ovviamente l’intelligenza artificiale non è solo Watson ma si allarga all’ampio mondo della robotica. E se nessuno potrà veramente fermare l’automazione, è innegabile che tanti posti di lavoro di oggi presto non avranno più motivo di esistere. In Uk, uno studio di PwC ha calcolato che con l’AI esiste potenzialmente il rischio che sparisca il 30% dei lavori attuali; certo, ne verranno creati altri, ma è probabile che i mesteri meno qualificati escano di scena.

Economisti americani come Erik Brynjolfsson del Mit hanno avanzato ipotesi più catastrofiche, col 47% dei lavori negli Usa a rischio. Peter Norvig, uno dei massimi esperti di intelligenza artificiale che ha lavorato prima alla Nasa e ora presso Google, concorda sulla potenziale perdita anche di metà dei posti di lavoro esistenti ma invita a non abbandonarsi al pessimismo: “Anche il motore a scoppio ha mandato in pensione le carrozze e tanti lavoratori, ma poi ha creato milioni di nuovi posti. Tutte le nuove tecnologie sono distruttive, finché non aprono opportunità prima inimmaginabili”.

L’esortazione generalizzata degli analisti non è quindi di abbandonare l’AI, bensì di guidarne lo sviluppo in modo che non allarghi le diseguaglianze sociali e facendo in modo che gli studenti e i lavoratori migliorino le loro competenze. Il braccio di ferro sarà invece tra chi spinge per vigilare e chi rivendica libertà d’azione.


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