I Fasti furono scritti da Ovidio in un periodo di relativa pace per ossequiare l’imperatore Augusto. Si tratta di un’opera magnifica che andrebbe letta più volte per poterne gustare i tanti livelli di conoscenza che vi sono custoditi. Dietro la cornice del calendario di cui è data descrizione, il poeta – maestro di tutti gli innamorati – ha costruito un reticolo di rimandi classici che si annodano punto-croce con la volta celeste per tramite di catasterismi. I Fasti sono, dunque, una cosmogonia.
Il risultato è bellissimo perché, dalla descrizione della società e delle sue usanze, l’occhio del poeta che sa cogliere il dettaglio della quotidianità si eleva fino al punto di vista che appartiene agli Dei e, quindi, al mito.
Come naturali discendenti dell’Urbe, dovremmo tenere a mente che Roma è figlia di Marte e di Venere. Ci appartengono, quindi, i canoni delle armi e della bellezza.
Forse l’equivoco è proprio questo. Che molti italiani anziché utilizzare tutte armi per proteggerla la bellezza, la stanno mettendo a ferro e fuoco.
Visto che il 2017 è l’anno in cui ricorre il bimillenario della morte di Ovidio, potrebbe essere l’occasione di rileggerlo per risvegliare in noi, attraverso le Metamorfosi, capacità speciali: riconoscimento e svelamento.
Il bimillenario ovidiano
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