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Vi racconto come è frammentata in Europa l’industria per la difesa

Di Andrea Truppo

La difesa europea è ancora un mosaico composto da tante piccole tessere, ognuna delle quali riesce a trasformare in operatività solo una frazione minima degli investimenti che riceve.

Uno studio dello European political strategy centre riporta come l’Europa, oggi, con la metà degli investimenti degli Stati Uniti, riesce a esprimere meno del 10% della capacità operativa americana. Tale perdita di efficienza è da attribuire prevalentemente alla mancanza di integrazione.

Il settore europeo della difesa è caratterizzato da una persistente frammentazione. L’84% dei contratti di procurement e più del 90% della ricerca è assegnato a livello nazionale con inutili duplicazioni di funzioni e una gravissima dispersione di risorse, soprattutto nel settore più pregiato della Ricerca e sviluppo. Questo si traduce in un parco europeo di strumenti militari composto da 154 sistemi d’arma differenti (27 negli Usa), di cui 37 differenti veicoli blindati per la fanteria (9 negli Usa), 12 diversi tanker per il rifornimento in volo (4 negli Usa) e 19 diversi velivoli da combattimento.

Non stupiscono, pertanto, le stime relative al costo medio annuo per impiegare un soldato europeo in operazioni fuori dai confini nazionali, che supera di circa 310mila euro quello di un corrispettivo soldato americano.

Bisogna tuttavia riconoscere che dietro ai 154 sistemi d’arma ci sono 154 contratti, progetti, linee di produzione e di assemblaggio, fornitori di materie prime, di semilavorati ed equipaggiamenti per il supporto manutentivo. Questa oggettiva perdita di efficienza è in gran parte la fotografia di un sistema produttivo particolarmente frammentato con una base industriale molto ampia che conta sui finanziamenti governativi per sopravvivere. Sopravvivenza che non significa soltanto salvaguardia di posti di lavoro ma anche protezione di un assetto strategico della difesa nazionale. Se si vuole pertanto ipotizzare un percorso di integrazione della difesa per generare una forza militare europea bisogna immaginare un processo di integrazione dell’industria della difesa, che allo stesso tempo sappia recuperare efficienza e competitività sui mercati globali riducendo progressivamente la dipendenza dai governi nazionali.

La frammentazione degli strumenti militari si ripercuote sui finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo, già di per sé critici e in costante diminuzione (circa il 20% negli ultimi sei anni), a scapito della tecnologia e delle capacità operative.

Disperdere risorse per trovare soluzioni militari di scarso valore aggiunto, quando non necessario, significa danneggiare la capacità militare complessiva contro gli interessi della popolazione e contro gli interessi industriali di lungo periodo. Con queste politiche si indeboliscono tanto i governi quanto le imprese.

Invertire questo trend avrebbe implicazioni significative su tutto il sistema-Paese e anche sulla competitività e resilienza del continente europeo. È evidente che scommettere su una capacità di innovazione autonoma nel mondo della difesa e, a valle o a monte, nel settore civile, richiederebbe investimenti significativi non solo in capitale fisico, ma prima di tutto e soprattutto di capitale umano. La formazione dei più giovani ne beneficerebbe mano a mano che industria e università si legassero in un accordo sinergico, supportato da risorse anche pubbliche, per diventare funzionali a un progetto di sviluppo e innovazione. Formazione tecnica innovativa permetterebbe alle università di recuperare la loro capacità attrattiva, permettendo ai nostri giovani di conseguire un’istruzione competitiva i cui frutti durerebbero nel tempo, arrestando anche l’inevitabile brain-drain che caratterizza l’attuale fase di declino economico legato a una scarsa produttività dell’intera catena del valore del sapere in Europa.

È in gioco dunque ben di più di un riarmo del continente, come sostengono i detrattori del progetto di difesa comune europea, è in gioco la credibilità e la sostenibilità di un ambizioso progetto di aggregazione sociale potenzialmente in grado di garantire un futuro migliore agli europei e una maggiore stabilità all’intero pianeta.

Se tutto questo ha un valore, bisogna essere disponibili a coprire i costi.

In un momento di contrazione della spesa risulta difficile avviare meccanismi di integrazione complessi che richiedono risorse aggiuntive. Tuttavia l’aspetto finanziario, che è stato spesso utilizzato come capro espiatorio, può invece diventare l’elemento più significativo e chiave di volta di questa trasformazione.

Incrementare la spesa militare, con un fondo comune, inizialmente a debito, non solo ci consentirebbe di onorare gli impegni assunti verso la Nato, ma soprattutto attiverebbe un percorso virtuoso che in breve tempo riuscirebbe a creare un mercato della difesa comune e a generare le capacità tecnologiche e militari di cui gli europei hanno bisogno.

Senza una difesa credibile, l’Europa non ha avrà mai una piena sovranità e non sarà mai in grado di esprimere una politica indipendente e autonoma, a tutela degli interessi strategici e dei valori del popolo europeo.


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