Il rinvio a settembre della discussione sulla legge elettorale evidenzia che non c’è un accordo tra le maggiori forze politiche. Al di là delle circostanze occasionali (come l’emendamento Biancofiore per estendere le norme al Trentino Alto Adige), la sensazione è che la maggioranza della Camera abbia voluto far saltare “lo scambio” tra Berlusconi e Renzi (proporzionale – elezioni anticipate) che, molto esplicitamente, aveva preceduto l’avvio dell’esame.
Nel frattempo con la sconfitta del Pd alle elezioni amministrative la situazione di Renzi si è complicata, nonostante l’inutile tentativo di minimizzarne il significato politico da parte del segretario. Tentativo reso ancor più vano dall’emergere di un dissenso sulla linea politica di una parte della sua stessa maggioranza, con l’amplificazione innestata dagli interventi critici di Prodi e del “fronte esterno” Pisapia–Bersani. Difficilmente Renzi si renderà conto che l’ampia vittoria congressuale non sarà sufficiente ad assicurargli il ritorno al potere. Tutte le vicende degli ultimi mesi – dall’autoreferenzialità nella procedura di approvazione delle riforme costituzionali, all’esito del referendum, dalla scissione quasi avallata, alle sconfitte elettorali – mostrano non errori di comunicazione, come lui afferma, ma un suo sempre più marcato isolamento politico e la profonda lontananza dall’opinione del Paese.
Anche Berlusconi non può far finta di nulla continuando ad insistere su una strategia che si presenta come l’anticamera di un accordo preventivo. E’ vero che l’indebolimento di Renzi è una tentazione, ma anche l’ex Cavaliere – nonostante la ripresa di uno spazio mediatico e giornalistico – non è nella condizione di un tempo e l’incontro di due debolezze, porterebbe ad un accordo fragile e, soprattutto, indigesto per gli elettori. Ed il rischio di alimentare dissenso e protesta si acuirebbe.
Questa condizione rappresenta l’esito della parabola discendente del leaderismo personale e la necessità che si ritorni alla ragionevolezza politica, ad una rappresentanza più complessiva, cioè comunitaria, e a forze politiche che si muovano in una logica inclusiva e non elitaria. Il rinvio della legge elettorale rende anche chiaro che la legislatura giungerà al suo temine naturale nonostante i tentativi di interromperla. Il Capo dello Stato ha auspicato che si approvi “una legge elettorale che armonizzi il sistema per le due Camere”. Gli ostacoli, però, sono evidenti: il percorso della legge coinciderà con la discussione sulla legge di Bilancio.
Ambedue potrebbero svolgersi a partire dai due diversi rami del Parlamento, con l’impegno di evitare reciproche ripercussioni. Ma le posizioni sono differenti: Renzi vorrebbe lasciare le cose come stanno, cioè con le leggi uscite dalla Consulta; Prodi suggerisce il maggioritario per riprendere la strada delle alleanze a sinistra; Berlusconi preferisce il “tedesco” perché vuole evitare il condizionamento di Salvini. Il Movimento 5 Stelle si muove con un tatticismo imprevedibile.
Auspichiamo che si trovi un punto d’incontro perché una legge elettorale va approvata, oltre che per offrire agli elettori regole certe ed omogenee, per evitare di compiere passi ulteriori verso una crisi sistemica. L’accordo dovrebbe comportare, in ogni caso, alcuni elementi irrinunciabili: tra i quali, soprattutto, la scelta degli eletti da parte degli elettori, una sostanziale corrispondenza tra voti e rappresentanza parlamentare, una riduzione della frammentazione.
E, soprattutto, auspichiamo che non sia una legge dettata dalle strategie di parte, ma che responsabilizzi i partiti, alla cui capacità di agire nell’interesse generale rimane, comunque, affidata la governabilità. Ma di certo l’approvazione della legge elettorale è un obbligo politico inderogabile.
Alla “desertificazione politica”, ormai così reale, si può trovare rimedio solo con decisioni e leggi nell’interesse del Paese.