A una decina di giorni dall’articolo di Civiltà Cattolica approvato dalla segreteria di Stato sull’ecumenismo dell’odio negli Stati Uniti che contraddice la visione di Papa Francesco, il Vaticano rilancia con un nuovo, graffiante giudizio dell’Osservatore Romano contro gli oppositori alla revolución bergogliana. Per il quotidiano ufficioso della Santa Sede, l’ostacolo a una Chiesa più evangelica e gioiosa è da cercare nel clero.
PER IL VATICANO I VESCOVI DISSIDENTI SONO IN MAGGIORANZA
Vescovi e sacerdoti – che per l’Osservatore sarebbero una “buona parte” delle truppe – sono confinati in un atteggiamento “di chiusura se non di ostilità” alla conversione chiesta dal Papa. I pastori dormono come i discepoli nell’orto degli ulivi, scrive il biblista don Giulio Cirignano. Si sono trincerati “dentro un orizzonte vecchio, delle pratiche abituali, del linguaggio fuori moda, del pensiero ripetitivo e senza vitalità”.
UN SAGGIO PER “CONVERTIRE”
L’articolo dell’Osservatore Romano tecnicamente non è un articolo, ma la pubblicazione di ampi stralci del capitolo “Il clero dorme” del saggio Bellezza del gaudio evangelico. Al centro della vita cristiana (Livorno, Mauro Pagliai Editore, 2017). Posizione di don Cirignano che evidentemente il giornale diretto da Giovanni Maria Vian sottoscrive, presentandola in pagina come un contributo alla “necessità di una conversione pastorale della Chiesa, che spesso appare impreparata ad affrontare le complesse sfide del tempo presente”.
VIVA LA MODA VIVA
Non fosse un’avventurosa interpretazione, si potrebbe rischiare di scommettere come la sottolineatura sulla “moda” (che pare essere incoraggiata), si presenti quasi come l’indiretta (e non voluta dall’autore per ovvie ragioni cronologiche: il suo libro è uscito in giugno) messa in riga del Papa emerito che a metà luglio ha messo in guardia dalla cedevolezza della Chiesa allo Zeitgeist, allo spirito del tempo. E anche una correzione a qualche altro, alto prelato.
ALL’INDICE I PASTORI INCAPACI DI INTERCETTARE IL PRESENTE
“La conversione chiesta da Papa Francesco – Abitudine non è fedeltà”. Sotto questa titolazione dell’Osservatore, e non dell’autore del pezzo, non si fanno nomi. Anche se non è arduo scorgere la critica a quei cardinali che si ostinano a parlare di dottrina. Con buona pace, tra gli altri, di Gerhard Müller, ormai da un mese pensionato anzitempo dalla Congregazione per la dottrina della fede. O dell’ancora in sella Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino, piuttosto indigesto ai teologi alla moda (es qui). L’argomentazione non è nuovissima: l’incapacità “di intercettare le domande che vengono dalla storia e di accogliere con gioia ed entusiasmo gli inviti al cambiamento” è da cercare in una “teologia senza le risorse della Parola, senz’anima”. È un derby che si gioca solito, tra una Chiesa fondata sul Vangelo, che si fa portare dal soffio dello Spirito e per questo è “capita” dalla gente, e il presunto ostruzionismo delle gerarchie: “Il Sinedrio – tuona Cirignano – è sempre fedele a se stesso, ricco di devoto ossequio al passato scambiato per fedeltà alla tradizione, povero di profezia”.
UNA SUMMA CONTRA. E PRECEDENTI
Chi siano i “fedeli alla tradizione” del presente regno non serve che l’Osservatore Romano li indichi puntuali. Il messaggio è arrivato. Ci sono i cardinali dei dubia e via discorrendo. C’è chi, come Müller, pretendeva il servizio dell’ex Sant’Uffizio anche come missione a “strutturare teologicamente” il papato, e in particolare quello spiccatamente pastorale di Jorge Mario Bergoglio. Le sue parole in una intervista a La Croix del 2015 avevano scatenato reazioni tra chi le ha lette come indebita resistenza al Papa. Lo storico Alberto Melloni parlò di “paternalismo eversivo”. Víctor Manuel Fernández, rettore dell’Universidad Católica di Buenos Aires, fedelissimo di Francesco, pochi giorni dopo al Corriere della Sera dettò quello che oggi suona come profetico epitaffio del teologo tedesco: “Ho letto che alcuni dicono che la curia romana fa parte essenziale della missione della Chiesa, o che un prefetto del Vaticano è la bussola sicura che impedisce alla Chiesa di cadere nel pensiero light; oppure che quel prefetto assicura l’unità della fede e garantisce al pontefice una teologia seria. Ma i cattolici, leggendo il Vangelo, sanno che Cristo ha assicurato una guida ed una illuminazione speciale al Papa e all’insieme dei vescovi ma non a un prefetto o ad un altra struttura”. Müller era già stato servito.
L’EX PREFETTO NEL MIRINO?
Eppure Müller non molla. Intervistato da Matteo Matzuzzi per Il Foglio ha ricordato tra l’altro che “il magistero ha bisogno di competenti consigli teologici”, perché “tutti noi siamo uomini e abbiamo bisogno di consigli e il contenuto della fede non si può spiegare senza un chiaro fondamento di studi biblici”. Ha ribadito che la Congregazione per la dottrina della fede esiste con un “compito chiaro e una grande responsabilità riguardo all’ortodossia della Chiesa”, e che “nessuno può elaborare un documento magisteriale senza conoscere i Padri della Chiesa, le grandi decisioni dogmatiche sulla teologia morale dei vari concili”. L’intervista al Foglio è uscita il 21, l’intervento dell’Osservatore Romano nel tardo pomeriggio del 22. Sarà sicuramente una coincidenza.
IL NESSO COI FONDAMENTALISTI USA
L’articolo dell’Osservatore Romano arriva soprattutto dopo la pubblicazione del saggio di padre Antonio Spadaro e del biblista protestante argentino Marcelo Figueroa, entrambi vicinissimi a Papa Francesco. Se tra i loro bersagli c’è il manicheismo politico “che suddivide la realtà tra Bene assoluto e Male assoluto”, il pezzo di Cirignano non prende in esame un solo paese, gli Stati Uniti, e va alla radice di quelli che si ritengono ostacoli intraecclesiali in senso più stretto.
“UN CLERO POCO EDUCATO”
Per don Cirignano “chiusura” e “ostilità” nei confronti di Francesco vanno ricercate in un “livello culturale modesto di parte del clero, sia in alto che in basso”; dotato di “scarsa” preparazione teologica e biblica. Non è che una eco di una delle cinque piaghe della Chiesa secondo il beato Antonio Rosmini che indicava un male proprio nell’insufficiente educazione degli ecclesiastici. La ricetta indicata qui pare differente, suggerendo la necessità di una “maggiore sinodalità” e la creazione di una mentalità già in seminario che concepisca il ministero sacerdotale “come un vero e proprio lavoro”.
SACERDOTI CHE NON SEGUONO IL GREGGE
Collegata e non meno grave, viene indicata una concezione del prete che si percepisce “capo e padrone della comunità”. Così che se “gran parte dei fedeli hanno compreso, nonostante tutto, il momento favorevole, il kairόs che il Signore sta donando alla sua comunità” e per questo “è in festa”, le gerarchie frenano.
SACERDOTI ANTIQUATI
Il problema, argomenta il biblista sulle pagine del giornale del Papa, è il concepire “l’esperienza religiosa in termini vecchi, maturati e consolidati nel lungo periodo della controriforma”. Come non leggere un riferimento al dibattito scatenato dall’interpretazione di Amoris Laetitia e la comunione ai divorziati risposati, quando si parla di un Dio che “corregge in maniera plateale le mille involuzioni che siamo soliti far compiere all’amore”, di Colui che è totalmente altro, e “non sopporta di essere rinchiuso in schemi angusti, tipici della mente umana”?
2+2 = 5
Del resto, in teologia, twittava mesi fa padre Spadaro, 2+2 può fare cinque. Che non è solo una citazione di George Orwell o il titolo di una canzone dei britannici Radiohead, in quanto – precisava il padre – 2+2 può fare cinque perché “ha a che fare con Dio e la vita reale delle persone”. L’Osservatore condivide. Müller e dintorni, probabilmente, avrebbero di che precisare.