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Pregi e difetti del merkelismo

Di Federico Niglia
coalizione

Nei recenti summit internazionali, Angela Merkel è apparsa come l’anello di collegamento tra la vecchia generazione dei leader europei (e non solo) e quella nuova. Per coloro che temono la cosiddetta deriva populista, Merkel ha rappresentato, fino all’elezione di Macron, l’unico e ultimo baluardo contro il nazionalismo ottuso e l’euroscetticismo.

Per i suoi detrattori, Merkel è il simbolo di un’Europa incapace di cambiare, nella quale la Germania tutela i suoi interessi a discapito degli altri Paesi. Questa ridda di commenti contrastanti e spesso stereotipati si sussegue peraltro senza che vi sia un collegamento tra Angela Merkel leader europeo e Angela Merkel Cancelliere dei tedeschi, come se i due piani fossero disgiunti.

Non è facile tracciare un bilancio del fenomeno Merkel per due motivi: innanzitutto perché è un fenomeno in pieno svolgimento, e come tale difficile da guardare in prospettiva; in secondo luogo perché non si può dare un giudizio positivo o negativo su Merkel senza sapere come si evolverà l’Unione europea. Ciononostante, siamo maturi per tratteggiare i caratteri distintivi di un cancellierato che ha raggiunto il pieno traguardo dei tre mandati e mira a una riconferma.

Al di là dei richiami più o meno diretti (Konrad Adenauer, Helmut Kohl), Merkel rappresenta un fenomeno politico unico e nuovo nella politica tedesca. Novità e unicità derivano dall’essere una leader politica post-riunificazione, con tutto quello che ne deriva: la capacità di ragionare senza il condizionamento della divisione, un rapporto più pacificato con il passato del Paese, ma anche la possibilità di guardare a est e a ovest senza i condizionamenti geopolitici del passato. Questo le ha permesso di delineare un programma politico capace di intercettare i bisogni di un Paese maturo, che aveva ormai riassorbito i costi umani e materiali della riunificazione e che puntava alla crescita in un contesto di stabilità. Sfruttando gli anni della grande coalizione, la Kanzlerin ha disegnato un programma di riforme strutturali realizzate senza mettere in discussione la tradizionale stabilità economica della Germania. Complici anche regole europee molto german friendly, Merkel ha potuto peraltro accentuare la proiezione internazionale dell’economia tedesca senza che questo avesse ricadute sulla stabilità interna. Ma la novità principale sta nella sua capacità di sovvertire le regole basilari della dialettica politica tedesca, rendendo in gran parte inattuale la competizione tra socialdemocratici e cristiano-democratici: la sua piattaforma politica, al di là della connotazione centrista e popolare, ha mo- strato fin da subito un livello di flessibilità e adattabilità ai bisogni emergenti del Paese, così da spiazzare gli altri partiti, Spd in testa: a Merkel è stata attribuita l’abilità di far proprie le proposte politiche e sociali dei socialisti. Non si tratta, però, solo di un’abilità tattica, quanto del fatto che il merkelismo rappresenta una proposta politica che, per molti versi, si può definire post-ideologica, e che pertanto fuoriesce dalla tradizionale logica destra-sinistra.

Il superamento delle vecchie categorie della politica non è avvenuto sulla base del nazionalismo, categoria con la quale i tedeschi continuano ad avere un rapporto controverso, né tantomeno con una soluzione cosiddetta populista. La pietra angolare del merkelismo è stata trovata nell’approccio normativo alla politica, nelle regole: le regole assurgono a strumento con cui la politica permette a una società di funzionare e di sprigionare le sue forze più virtuose.

Qui il piano della politica interna e quello europeo/internazionale si sovrappongo- no: le stesse regole che rendono un Paese migliore possono essere utilizzate per l’Unione europea e fungere da strumento di convergenza a livello globale. Questo spirito rappresenta il trait d’union tra la politica europea di Merkel e la sua strate- gia nei confronti dei grandi attori globali, Russia in testa.

È proprio qui che si consuma la vera sfida, o se si vuole il limite, del merkelismo: esso presuppone che l’Europa e il mondo si prestino, si passi l’espressione brutta, a essere “normativizzati”. Se si mette in discussione l’idea stessa che le norme debbano regolare la vita della comunità europea e internazionale, allora il merkelismo entra in crisi, sia perché si tratta di un modello consensuale poco acconcio a imporsi in modo coercitivo, sia perché l’approccio normativo alla politica definisce i tedeschi molto più di quanto non avvenga con gli altri europei occidentali. Può così accadere che il modello che funziona (e probabilmente funzionerà) per i tedeschi possa non andar bene per gli altri.

Date queste premesse, un giudizio positivo su Merkel e il merkelismo nel suo complesso non può prescindere da un atto di fede circa lo sviluppo in senso liberal-democratico del sistema internazionale.

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