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Il pane, la Sicilia e Paolo Borsellino

PAOLO BORSELLINO, mafia

“Quanto pago?” domandò Paolo Borsellino al venditore di pane. “Niente dottore, lei anni fa mi fece condannare. Ho pagato e ho capito che aveva ragione. Accetti questo omaggio da parte mia” rispose l’ambulante e Borsellino senza dire nulla, con la sua sigaretta fumante in bocca salutò, si girò e risalì in macchina.

Oggi che sono passati venticinque anni da quella strage annunciata a via D’Amelio e che, come ogni commemorazione che si rispetti, porterà a scrivere fiumi d’inchiostro per ricordare la solitudine del giudice Borsellino mi è ritornato in mente questo episodio dell’ambulante pregiudicato che vende il pane con il suo furgoncino (come succede ancora oggi in Sicilia) e di un magistrato già famoso che non vuole perdersi il sapore dello sfilatino fatto in casa e per questo si ferma per comprarlo anche in mezzo al traffico.

Questo episodio, uno dei tanti di vita vissuta quotidiana, mi sovviene sempre quando arriva l’anniversario della morte del giudice Borsellino. Lo ha scritto un bravo collega, Umberto Lucentini in un libro uscito più di vent’anni fa Paolo Borsellino, il valore di una vita che racconta la storia del magistrato, non solo dal punto di vista delle indagini.

Non si capisce perché anche nei media quando si parla di Paolo Borsellino, servitore dello Stato, lo si fa sempre come in una sorta di cono d’ombra rispetto a Giovanni Falcone. Una certa vulgata lo descrive come un uomo scomodo, pare votasse addirittura per il Movimento Sociale Italiano, un’eresia per l’establishment abituato ad avere un pensiero unico anche sulla lotta alla Mafia e dintorni.

Di certo Borsellino era contro una certa antimafia di facciata, di quelli che proprio sulle nefandezze della criminalità organizzata hanno poi costruito carriere e non solo politiche. Quelli che Leonardo Sciascia già trent’anni fa chiamava i professionisti dell’antimafia. Il grande scrittore prese l’abbaglio di criticare proprio Borsellino in un editoriale storico del Corriere della Sera per la sua nomina a procuratore capo di Marsala, arrivata proprio grazie all’impegno nel primo maxi processo alla Mafia.

Una storia vecchia si dirà. No: la storia si ripete perché oggi è un altro magistrato molto ascoltato, Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, a mettere sotto accusa chi utilizza il brand dell’antimafia per fare carriera.

Così la Sicilia ancora una volta si trova ad essere “metafora del mondo” per citare sempre l’autore del Giorno della Civetta. Pare che le elezioni di novembre potrebbero infatti condizionare anche quelle nazionali della prossima primavera. È già successo che la Sicilia fosse un laboratorio politico, ne sa qualcosa Forza Italia che qui nel 2001 vinse 61 collegi su 61 lasciando a zero seggi i candidati di una sinistra in frantumi.

Adesso non si sa come finirà. Tutto è in evoluzione. Di certo quell’ambulante di pane oggi difficilmente regalerebbe il suo bene a qualcuno. E non è per una questione di crisi economica. È che di Paolo Borsellino in giro per le strade di Palermo non ce ne sono più.



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