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Perché Pechino rafforzerà la People’s Bank of China

A lungo rinviata, l’attesa conferenza di lavoro sulla finanza che la leadership cinese tiene ogni cinque anni, prenderà il via nelle prossime settimane. L’appuntamento voluto per la prima volta nel 1997 dall’allora premier Zhu Rongji in risposta alla crisi asiatica della fine degli anni Novanta sarebbe dovuta essere convocata già lo scorso anno. Le divergenze su come riformare vigilanza e quadro regolatorio dopo i crolli dei listini di Shanghai e Shenzhen a metà del 2015 e nei primi mesi dello scorso anno avevano però convinto la dirigenza di Pechino a posticipare la riunione.

Secondo quanto riporta il settimanale economico Caixin, l’orientamento che verso metà luglio prenderà la quinta sessione della conferenza è di un rafforzamento dei compiti della People’s Bank of China. L’istituto centrale guidato dal governatore Zhou Xiaochuan assumerebbe in questo modo un ruolo predominante sulle altre autorità di regolamentazione: sui mercati, sulle banche e sulle assicurazioni. Andando verso una soluzione di questo tipo perderebbe quindi terreno l’ipotesi di una super-authority guidata da una funzionario del Consiglio di Stato, l’esecutivo cinese, affiancato comunque dal numero uno della PboC.

Ad accelerare la necessità di un maggior coordinamento tra gli enti di regolamentazione contribuirono i tracolli del 2015. Le cronache di quell’estate riportano di scontri tra la China Securities Regulations Commission, omologo locale della Consob, e l’istituto centrale, divise sulle strategie per gestire la crisi. Ma lo scontro aveva radici ben più profonde. Se l’obiettivo della PboC era di tutelare la stabilità dello yuan per la Csrc si trattava di far crescere i listini del Dragone.

La convocazione della conferenza arriva in un momento delicato per Pechino. In autunno si terrà il congresso del Partito comunista, chiamato a rinnovare parzialmente gli organi dello Stato e le leve dell’economia. Da mesi inoltre il settore finanziario è entrato nel mirino dell’anti-corruzione. Non è un caso, forse, che diversi articoli in cinese sulla prossima riunione siano stati censurati. Lo rileva Bill Bishop nella sua consueta newletter Sinocism. Di contro, al momento, è ancora online la versione in inglese di Caixin.

Che qualcosa stia comunque ribollendo lo dimostrano anche gli scivoloni di oggi in borsa delle quotate della conglomerata Fosun. Nella mattinata cinese infatti il presidente del gruppo Guo Guangchang, conosciuto come il Warreb Buffet cinese, era stato dato come irrintracciabile, eufemismo per indicare che a vario titolo potrebbe essere coinvolto in qualche indagine. Era già accaduto nel 2015, quando scomparve per alcuni giorni. Le indiscrezioni sono state immediatamente smentite sia da Fosun International sia da Fosun Pharmceutical. Dal gruppo i rumors sono stati bollati come maldicenze. La vicenda si accompagna però alla battuta d’arresto registrata anche di Hna, gruppo che spazia dal trasporto aereo agli alberghi, nonché primo azionista di Deutsche Bank con circa il 10% del tempio del capitalismo renano. La conglomerata dello riservato miliardario Chen Feng è da mesi impegnata in una battaglia, ora anche legale, contro il magnate Guo Wengui, che dal suo esilio newyorkese ha insinuato possibili favori dovuti ai legami del gruppo con il nipote dello zar del’anti-corruzione, Wang Qishan. Assieme a Fosun, alla Dalian Wanda di Wang Jianlin e all’assicurazione Anbang, l’imponente campagna di acquisizioni all’estero condotta da Chen è inoltre finita sotto la lente della vigilanza bancaria.

G investimenti condotti dal 2015 dai quattro colossi possono infatti rappresentare secondo l’autorità un rischio sistemico, trasformandosi in incagli nei bilanci delle banche. Dietro l’ansia da m&a rischia di celarsi una bolla del credito che le autorità cinesi intendono disinnescare. D’altronde proprio con l’eccesso di debito Moody’s ha giustificato il declassamento del rating di Pechino da AA3 ad A1. La stabilità finanziaria è ormai diventata una priorità per Xi Jinping.


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