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George Pell tra accuse, riforme economiche sospese e dubbi australiani

Appena sei minuti. Tanto è durata la prima udienza del processo al cardinale George Pell. Nessun dettaglio sulle accuse per presunti abusi sessuali su minori di decenni fa. Appena sei minuti di udienza preliminare che aprono un processo che si annuncia non breve se letto nel piano di riforma economica del Vaticano di cui il cardinale è uomo chiave. Se tutto fila spedito, ci vorrà un anno. Altri analisti prevedono un calendario più lungo, almeno fino al 2020. E per Papa Francesco che ha concesso a Pell un congedo dalla segreteria dell’Economia di cui è prefetto per difendersi dalle accuse, si proporrà il dilemma se e quando nominare un successore.

DAVANTI ALLA CORTE TRA SOSTENITORI E OPPOSITORI

Pell è arrivato alla Magistrates Court di Melbourne mercoledì mattina scortato dalla polizia. Assediato da fotografi e giornalisti non ha rilasciato dichiarazioni. Solo un cenno a un gruppo di sostenitori, che affollavano gli ingressi del tribunale. Pochi metri più in là, il gruppo degli oppositori. In Aula il legale del cardinale ha ribadito che il cardinale si dichiarerà non colpevole e “confermerà la sua innocenza”. La polizia di Ballarat, città natale del prelato che ha incriminato Pell, ha tempo fino ai primi di settembre per presentare le sue carte alla difesa. Delle accuse ad oggi si sa solamente che risalgono agli anni tra i Settanta e gli Ottanta, quando il porporato era solo don George, e che sarebbero riferite a più episodi, denunciati da più querelanti. Il processo è stato aggiornato al 6 ottobre.

I DUBBI SULLA POSSIBILITÀ DI UN PROCESSO EQUO

Inevitabile l’attenzione della stampa internazionale per il processo che vede incriminato il numero tre del Vaticano. Un’attenzione che in Australia sta cominciando a far dubitare che il cardinale possa avere un processo equo, non condizionato dalla pressione sociale. Angela Shanahan, columnist di punta del diffusissimo The Australian, ha descritto il porporato come vittima di una “caccia alle streghe”. Amanda Vanstone, politico e già ambasciatore in Italia, si definisce niente affatto “fan della religione organizzata”, ma sul The Sydney Morning Herald ha decretato “l’isteria dei media sul cardinale”. Già nel 2002 precedenti accuse furono archiviate. La pubblicità che circonda Pell preoccupa anche i giudici. Il procuratore Andrew Tinney ha letto in tribunale un forte avvertimento alla stampa: “Qualsiasi pubblicazione di materiale che speculasse circa la fondatezza o meno del caso, se l’accusato dovesse o non dovesse essere stato accusato, la probabilità di condanna o di assoluzione, sarebbe in disprezzo del tribunale”.

LA FIDUCIA DI TRE PAPI

L’ex giocatore di football di Ballarat è passato al vaglio di tre papi. Giovanni Paolo II lo ha fatto vescovo e cardinale, Benedetto XVI ne stimava la solidità dottrinale. Nei primi anni del 2000 emergono le prime accuse sul prelato australiano. Tutte archiviate. Francesco nell’aprile 2013, a un mese dall’elezione al Soglio, lo nomina nel ristretto consiglio dei cardinali per la riforma della Curia. Un anno dopo lo chiama definitivamente a Roma a presiedere il superministero dell’Economia.

I PASSI DI PELL NELLE RIFORME VATICANE

Pell comincia a scostare le tende sulle finanze della Chiesa. Subito scova un tesoretto di un miliardo di euro: fondi extrabilancio che nessuno aveva comunicato, nascosti in vari conti da diverse organizzazioni della Santa Sede. Non sono fondi neri, precisa, ma rimane il mistero su chi e perché abbia occultato quel denaro. Dal 2015 affianca il suo lavoro alla Segreteria il revisore generale Libero Milone. Professionista stimato, Milone si dimette improvvisamente a metà giugno. Sulle ragioni di quel repentino passo indietro nulla è trapelato. L’impressione, in molti, è che il duo Milone-Pell stesse scoperchiando un vaso di Pandora.

WEIGEL E UNA “REGIA ROMANA” DIETRO LE ACCUSE

Esplicito il commento di George Weigel, tra gli intellettuali più stimati degli Stati Uniti, biografo di Giovanni Paolo II e dichiaratamente amico di Pell. Già un mese fa si domandava sul National Review se le carsiche accuse su faccende di pedofilia al porporato non siano da leggere in collegamento all’opera di riforma finanziaria del Vaticano: “Pell ha molti nemici in Australia, politici ed ecclesiastici, che per decenni hanno trovato sponda nei media”. Secondo Weigel “non è irragionevole immaginare, anzi, è più che probabile, che quando le sue riforme hanno cominciato a minacciare gravi conseguenze finanziarie, e forse legali, quelli determinati a mantenere lo status quo da cui avevano beneficiato si sono impegnati a far deragliare il cardinale, promuovendo nuove false accuse in Australia, dove si è trovato un terreno già avvelenato e preparato a coltivare le calunnie”.

RISARCIMENTI ALLE VITTIME, TRA ACCUSE E TUTELE

Pell sconta un piglio pastorale e manageriale piuttosto deciso. Sul fronte pedofilia, da arcivescovo di Melbourne, già nel 1996 mette a punto un sistema di assistenza e risarcimento per le vittime di abusi sessuali da parte del clero. È un progetto pilota, uno dei primi nel mondo, il primo in Australia, che gli avrebbe attirato “l’inimicizia di alcuni colleghi vescovi”, come annota David Marr, corrispondente da Sydney per il britannico The Guardian e considerato uno dei commentatori australiani più influenti. Nel 2013, quando Pell è chiamato a Melbourne a fare chiarezza sulla gestione dei casi di pedofilia nella Chiesa, ai membri della commissione che gli domanda dell’esiguità dei risarcimenti da riconoscere alla vittime in via extragiudiziale (un massimo di 50mila dollari australiani), replica che quelli erano gli standard adottati al tempo nell’intera nazione. La soglia massima dei risarcimenti nel frattempo era stata elevata a 75mila e, dal primo gennaio scorso, portata a 150mila dal successore di Pell a Melbourne (vedi qui). Per i detrattori sono briciole, rispetto a quanto le vittime potrebbero ottenere se decidessero di andare in causa. Ma, scriveva Pell nel 2010, ancora era arcivescovo di Sydney, “quando vengono presentate accuse che si riferiscono a decenni prima, le vittime sono sempre incoraggiate ad andare alla polizia. Questo è quello che noi preferiremmo. Ma le vittime spesso vogliono la privacy. Il tema è troppo triste e troppo serio perché possa circolare disinformazione, aggiungendo dolore alle vittime”. Le norme ecclesiastiche sugli abusi sessuali, precisava il cardinale, “non sono mai state interpretate come un divieto di denunciare i crimini alle autorità civili”. Titolava quell’intervento l’Osservatore Romano “La cattiva informazione aggiunge dolore alle vittime”.


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