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Mafia Capitale tra Pignatone e Repubblica

La sentenza di 1° grado relativa alla cosiddetta inchiesta “Mafia Capitale” è stata generalmente proposta e sintetizzata dai media sottolineando come il Tribunale di Roma avesse espunto dalla locuzione coniata dalla Procura la prima delle due parole. Ieri Repubblica ha intervistato uno dei protagonisti della vicenda, il procuratore Pignatone. Appare molto indicativa la scelta dei titoli: nel taglio alto della prima pagina “Pignatone: ho perso, ma resto convinto che sia vera mafia” e a pagina 3 Pignatone: “È vero, ho perso ma in città i clan esistono e io non mi rassegnerò mai”.

Nell’intervista, infatti, non soltanto è impossibile rintracciare il virgolettato attribuito al procuratore Pignatone – vizio antico o forse, viste le circostanze, scorciatoia sempre attuale del giornalismo nostrano – ma addirittura il capo della Procura dice il contrario in due passaggi che è bene tener presente. Alla domanda puntuale in merito alla possibilità di individuare uno sconfitto nella vicenda, il procuratore ha risposto “Io non ho concezione agonistica della giustizia. Né, aggiungo, una cultura dell’insulto”. Non sembra un’ammissione di sconfitta – quanto piuttosto un modo elegante per prendere le distanze dalla concezione agonistica della giustizia di chi lo intervista – anche perché nel seguito della risposta il procuratore segnala come i giudici romani chiamati ad esaminare procedimenti aventi ad oggetto fatti di 416bis in questi anni in alcuni casi abbiano accolto ed in altri abbiano respinto le tesi della pubblica accusa aggiungendo “per quanto importante, questa sentenza di primo grado non riassume una stagione giudiziaria e quello che ha fotografato in questa città in materia di criminalità organizzata”. 

Nell’intervista il procuratore Pignatone non usa mai le espressioni “vera mafia” e “clan”, e non sostiene neanche che non si “rassegnerà mai”; afferma, piuttosto, che leggerà la motivazione e “dopodiché, se il tribunale ci convincerà, non faremo appello, altrimenti impugneremo”. Ma la lettura dell’intervista non costituisce soltanto un’argomentata smentita del titolo scelto dal giornale, ma della tesi “autodifensiva” che con il suddetto articolo si vuole sostenere: ha perso (solo) la Procura e non i media che hanno utilizzato il materiale istruttorio raccolto dalla Procura per costruire una tesi politico-giudiziaria sulla città di Roma, buona per riempire i giornali ed i cosiddetti social e per poter andare nei talk show televisivi ad auto-commentarsi.

Su questo punto, e sul fatto che il Procuratore Pignatone tenti di ribaltare l’accusa di aver costruito il mito di Mafia Capitale – è legittimo chiedersi se avesse fatto lo stesso nel caso in cui il tribunale avesse accolto in pieno l’impianto accusatorio – è utile leggere il passaggio dell’intervista nella quale il capo della Procuratore dice: “Ho sempre detto in tutte le sedi ufficiali, da ultimo nel luglio 2015 nella mia audizione in Commissione antimafia, che Mafia Capitale era una piccola mafia. Che non dominava Roma. Che Roma non è né Palermo, né Reggio Calabria”. E quanto all’accusa di aver destabilizzato il corso politico – e dunque di “un uso politico della giustizia penale” – il Procuratore ha respinto l’addebito aggiungendo che i fatti emersi grazie all’inchiesta sono stati utilizzati politicamente, ma che “non siamo noi i responsabili dell’effetto mediatico di un’inchiesta”, e respingendo l’accusa di aver lavorato per il plauso o il consenso dell’opinione pubblica.

Sintetizzando dunque, il procuratore Pignatone non solo non si sente sconfitto, ma ritiene che gli sconfitti vadano trovati altrove. Chissà che non si riferisca anche e soprattutto al giornale che lo intervista e che – con la scelta del titolo e l’attribuzione di virgolettati – cerca di farlo passare per il vero, e soprattutto il solo, sconfitto, reo di non aver saputo dimostrare ciò che per il direttore Mario Calabresi, per Roberto Saviano e per molti altri è vero – Roma è Mafia Capitale – a prescindere dalle dichiarazioni e dai documenti ufficiali richiamati dal procuratore, dai processi e dalle sentenze?



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