Bernard Madoff è l’artefice del più grande schema Ponzi finanziario del dopoguerra. Una truffa finanziaria da sessanta miliardi di euro che gli è costata una condanna a 150 anni di galera e l’etichetta di criminale su Wikipedia. Non un finanziere ma un delinquente a tutti gli effetti, come è giusto che siano chiamati i banchieri che consapevolmente mettono in piedi degli schema Ponzi.
La cronaca dei fallimenti delle due banche venete, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, racconta di uno schema Ponzi messo in piedi nella laboriosa e cattolica provincia veneta. Non è ancora chiaro l’ammontare totale del buco causato dai prestiti “baciati”, cioè dalle operazioni di finanziamento alla clientela che le due banche hanno condotto per molti anni erogando credito, cioè risparmio dei correntisti, per ottenere che una buona parte dello stesso venisse reinvestito nell’acquisto di azioni di nuova emissione delle due banche a prezzi gonfiati da perizie amiche, ma che si tratti di una creazione fittizia di ricchezza è ormai chiarissimo. Un modo di creare artificiosamente un capitale che non c’era trasformando risparmio inconsapevole in capitale di rischio. E’ uno schema Ponzi al 100% ed è davvero curioso che fino al 2015, quando la vigilanza della Bce ha preso in mano la situazione, nessuno avesse maturato il minimo sospetto. Così le due banche hanno potuto continuare a collocare obbligazioni subordinate proponendo prospetti infarciti di comunicazioni false e lontane dalla verità contabile. Quale colpa hanno gli obbligazionisti subordinati che sulla base dei prospetti autorizzati dalle varie autorità di vigilanza hanno acquistato le obbligazioni subordinate delle due banche venete fallite? Sono stati proprio loro le principali vittime dello schema Ponzi di Vicenza e Montebelluna, più anche degli azionisti che almeno hanno avuto i prestiti “baciati”, visto che la metà dei crediti deteriorati delle due banche sono legati ai debitori-azionisti dello schema Ponzi. Evidentemente intuivano che potevano perdere tutto come soci e si sono “rivalsi” come debitori.
Eppure, nonostante il governo dichiari che saranno rimborsati al 100% tutti gli obbligazionisti retail, la realtà è molto più penalizzante per loro. Basti pensare che quelli di Veneto Banca lo scorso 16 giugno di sono visti bloccare da un atipico decreto legge il rimborso del titolo a tasso variabile 2007-2017 in scadenza il 21 giugno. Lo avevano magari comprato dieci anni prima, quando il bail in non era neppure nella culla, e magari da un promotore finanziario o tramite una banca amica dell’emittente che lo aveva proposto come titolo sicuro al 100%. Veneto Banca non era ancora dichiarata fallita lo scorso 16 giugno e aveva la liquidità per rimborsare i 65 milioni residui del bond subordinato, ma il governo ha preferito congelare tutto per decreto. Ed ora per gli obbligazionisti subordinati – quelli retail valgono in tutto 200 milioni – la strada per il recupero per la truffa subita è davvero complicata. Devono avere comprato direttamente allo sportello di una delle due banche fallite e prima del 15 giugno 2014 data di entrata in vigore della direttiva europea sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi e dimostrare che c’è stata una qualche forma di non corretta presentazione dei rischi da parte dell’emittente. Ma se i prospetti e le comunicazioni al mercato delle due banche venete erano falsi sia prima che dopo il 15 giugno 2014, perché non dovrebbero essere tutelati tutti gli obbligazionisti subordinati retail vittime dello schema Ponzi?
Il passaggio parlamentare del decreto forse sanerà questa ingiustizia e magari Intesa, che ha già messo a disposizione 60 milioni di euro per rimborsare parzialmente la componente retail, avendo fatto un ottimo affare potrebbe anche decidere di rimborsare per intero gli obbligazionisti subordinati persone fisiche aggiungendo altri 140 milioni. Al momento le principali vittime dello schema Ponzi di Vicenza e Montebelluna sono proprio gli obbligazionisti subordinati retail.