Il gas “nobile” elio – il secondo elemento della tavola periodica, con il simbolo “He” – nella percezione popolare ha due importanti utilizzi: i palloncini gonfiati con la sostanza galleggiano simpaticamente nell’aria e, inalato, fa temporaneamente parlare con la voce di Paperino. È incolore, inodore, insapore e inerte. Non fa male a nessuno. Ha anche molteplici e importanti impieghi tecnici e scientifici di cui non si parla quasi mai perché sono complicati e forse noiosi. In forma liquida, è il refrigerante ideale per ottenere temperature estremamente basse, vicine allo zero assoluto, per i magneti superconduttori e le ricerche criogeniche.
È il gas di “supporto” nella gascromatografia, in medicina ha un ruolo importante negli esami a risonanza magnetica, è usato per proteggere la crescita di cristalli di silicio e germanio nella produzione dei chip per la microelettronica. L’elio – vitale per molte tecnologie “alte” – è comune nell’universo, ma raro nella crosta terrestre. Peggio, di quel poco che c’è, il trenta percento viene dal Qatar, il più grande produttore mondiale, che lo raccoglie come sottoprodotto dell’estrazione del gas naturale petrolifero. Da poco più di un mese l’Emirato è sotto assedio economico da parte dell’Arabia Saudita e i suoi alleati nel Golfo. Hanno chiuso le frontiere non solo all’elio qatariota, ma perfino ai cammelli.
Da allora neanche una goccia del gas ha lasciato il Qatar, che aveva sempre utilizzato delle strutture specializzate nei porti sauditi per il suo trasporto e non dispone di rotte alternative. Il secondo fornitore, gli Stati Uniti con un altro 20% della produzione mondiale, ne avrebbe dell’elio – ancora sottoterra – ma la creazione di nuove infrastrutture per il suo trasporto sarebbe lenta e molto costosa. Per ora, nessuno pensa a metterci tutti quei soldi finché non si capisca come va a finire nel Golfo. Il trasporto dell’elio dal Qatar ai paesi dell’impiego in Asia e nell’Occidente – che avviene via mare – richiede circa un mese. Vuol dire che stanno per essere consegnate ora le ultime scorte nuove. Nelle prossime settimane – a meno che non subentrino altre sorprese mediorientali – il mondo scoprirà che manca improvvisamente il 30% della quantità necessaria di una sostanza che si trova alla base delle sue più alte realizzazioni tecnologiche.
È ovvio che i prezzi commerciali del gas potrebbero crescere molto. Per la scarsità e l’aumentata domanda si erano già quadruplicati negli ultimi anni. Il punto però non è il costo, è il fatto che potrebbe non essercene abbastanza a qualsiasi prezzo per soddisfare il fabbisogno, che poi non è determinato dal suo utilizzo per gonfiare i palloncini alle feste dei bambini. Non è la fine della civiltà tecnologica. Con il perdurare della scarsità – se ha da perdurare – verranno trovati modi per sostituire l’elio in certi impieghi, gli americani potrebbero rispondere all’opportunità commerciale, potrebbero emergere altri fornitori. È stata recentemente scoperta una nuova e potenzialmente importante fonte del gas in Tanzania. Si tratta comunque di un’interessante illustrazione di quanto è delicato questo “orologio svizzero” che è la globalizzazione. Succede qualcosa nel Golfo, una stupida lite tra monarchie più o meno medievali, e improvvisamente il resto del globo potrebbe trovarsi nelle condizioni di dovere scegliere tra un nuovo cellulare e la “risonanza” della nonna.