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Tutti i dialoghi interreligiosi del Meeting tra il rabbino Rosen, il sunnita Sammak e Mons. Tomasi

Il tema del dialogo interreligioso è sempre stato a cuore al Meeting, non a caso l’abbreviazione con cui si usa chiamare la kermesse sostituisce la dicitura completa “Meeting per l’amicizia fra i popoli”. Oggi come non mai le tre grandi religioni monoteiste vivono spunti di incontro, di riflessione comune, a volte di preghiera comune, come di fatto è successo pure a Rimini, anche se non si è parlato di una preghiera religiosa ma di “una preghiera in fraternità tra persone di diversa religione”. Tutto questo proprio nel momento in cui il conflitto, per via del terrorismo, del problema dello Stato islamico e non solo, impazza.

LE CONSIDERAZIONI DEL RABBINO CAPO DAVID ROSEN AL MEETING
Il rabbino capo David Rosen, direttore dell’Interreligious Affairs of the American Jewish Committee, è intervenuto giovedì 24 agosto al Meeting in un incontro internazionale dal titolo ““Un dialogo da riguadagnare”. In un’intervista dello stesso giorno su Il Foglio ha dichiarato che “è questa l’età dell’oro dei rapporti tra ebraismo e cattolicesimo”, e già nell’ormai lontano ’97 il rabbino intervenne a Rimini proprio su questi temi. Giunto ad oggi, il giudizio è netto: “Il dialogo e la collaborazione interreligiosa sono imperativi imprescindibili, degli obblighi per ogni persona religiosa che sposi alcuni valori etici”. L’analisi, offerta ai giornalisti prima dell’incontro, scende ancora più nel dettaglio: “Se credo nella santità della famiglia dovrò collaborare con chi crede nello stesso valore, lo stesso per il cambiamento climatico, la tutela dell’ambiente, la lotta contro la povertà. Se come ebreo non lavoro insieme ai fratelli cristiani e musulmani significa che li sto tradendo. È attraverso l’incontro che posso scoprire la presenza divina al di là della tradizione alla quale appartengo”.

IL RABBINO: “IL DIALOGO È ESPRESSIONE DELLA TRADIZIONE DI ABRAMO”
Resta però inevitabile non considerare lo scoglio delle violenze terroristiche. Ragionando su di esse, rispondendo a una domanda in conferenza stampa riguardante il contesto europeo, il rabbino ha spiegato che molte di esse “sono scaturite da un senso di alienazione” e che “le società devono prendere misure per proteggersi e cercare di essere pro-attive, trasmettendo un senso di apprezzamento degli individui, farli sentire cioè membri della società valorizzando la loro identità”. È in questo senso che “il dialogo interreligioso è l’espressione autentica del senso di ospitalità della tradizione di Abramo”: su questo per il rabbino non ci sono dubbi. Nè riluttanza nel confrontarsi con l’islam, anche partendo dal contesto delle relazioni israelo-palestinesi. Non a caso al Meeting si è seduto a fianco di Mohammad Sammak, consigliere politico del Gran Muftì del Libano e fervido sostenitore dei diritti delle minoranze nel mondo arabo islamico. La sua analisi riguardante il difficile tema della violenza nel mondo islamico si forma su opinioni nette: “Andando ad analizzare i testi islamici ci sono documenti religiosi importanti che mostrano come in realtà non abbiamo alcun legame con esso”, ha detto Sammak ai giornalisti.

I TRE PUNTI DEL CONSIGLIERE DEL GRAN MUFTÌ LIBICO SAMMAK
Mettendo così in luce tre punti in particolare, da considerare. Il primo è che “negli insegnamenti islamici non si parla mai né di una maggioranza né di una minoranza, ma di una cittadinanza assolutamente uguale. Non esistono nell’islam concetti di maggioranza o minoranza”. Il secondo, che suona come la nota centrale del suo discorso, è che “nell’islam non c’è uno stato religioso, nonostante i terroristi affermano di volerlo costruire. In numerose occasioni sono state prese chiaramente le distanze”. L’ultimo punto invece riguarda la libertà religiosa, che “Benedetto XVI ha definito come la corona di tutte le libertà”, ha ricordato Sammak: messaggio che ci arriva direttamente da Dio, secondo il consigliere libanese: “Io per poter professare la religione musulmana devo credere nella libertà dei cristiani di poter professare la loro. È il messaggio che tutti gli esponenti dell’islam devono lanciare e diffondere sempre più fortemente, non solo all’interno o all’esterno delle loro comunità ma in tutto il mondo”.

MONSIGNOR TOMASI: “I LEADER SIANO CHIARI E NON GIUSTIFICHINO SILENZI”
Monsignor Silvano Maria Tomasi, membro del Dicastero Servizio per lo Sviluppo Umano Integrale e rappresentante dal 2011 della Santa Sede a Ginevra, da lungo tempo impegnato nella diplomazia internazionale, è d’accordo con le tesi dei due ospiti. Ciò lo porta a sostenere come, nonostante le violenze, dal punto di vista del dialogo si sia fatta molta strada. “Nella tradizione cattolica dal Concilio Vaticano II – ha spiegato Tomasi – da Paolo VI con Ecclesiam Suam a papa Francesco con Evangelii Gaudium si è sviluppata una teologia del dialogo”. Quello che rimane da chiedersi è “come mai questi giovani non hanno trovato nella cultura occidentale risposte adeguate, finendo in estremismi per giustificare il senso della loro vita”. Che non esclude “l’altra parte della medaglia”, che cioè “i leader culturali, religiosi, politici, sia islamici che di altre tradizioni religiose, devono essere chiari e senza ambiguità nel dare interpretazioni corrette, in modo da non giustificare alcun silenzio nei confronti del terrorismo”. Durante il convegno Tomasi ha poi specificato: “Il dialogo è un metodo, un approccio che riguarda tutti. È prima di tutto una scelta individuale che deve diventare modalità di comunicazione fra gli Stati”.


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